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Tecnologia contro la fame

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Tecnologia contro la fame

Uno su due. Il 48% della popolazione africana, secondo le statistiche Onu, vive sotto al di della soglia di povertà. «Per ridurre il problema dei migranti, l’Europa dovrebbe impegnarsi per creare opportunità di reddito in Africa» dice Mo Ibrahim, imprenditore delle tlc, di origine sudanese, uno dei dieci uomini più ricchi della Gran Bretagna, presidente dell’omonima Fondazione che ogni anno pubblica un indice che misura la corruzione dei paesi africani. «La gente – spiega – non scappa dal proprio paese se ha di che vivere. Uno sviluppo economico senza corruzione: questa è la strada. Ma l’Africa non si corrompe da sola».

Della riduzione delle povertà e del ruolo che possono avere in questo processo le nuove tecnologie, si è parlato ieri alla conferenza internazionale «Poverty Alleviation, a role for Technology and Infrastructure», organizzata dalla Fondazione per la Collaborazione tra i popoli di Romano Prodi, con il patrocinio di Accademia nazionale dei Lincei, Pontificia Accademia delle Scienze sociali, Associazione delle Accademie Mediterranee e la presenza di esperti dell’Accademia Cinese delle Scienze Sociali, nella splendida cornice rinascimentale dell’Oratorio del Gonfalone a Roma, tra lo stupore degli accademici cinesi e americani.

«Questa conferenza – spiega Prodi – è il risultato di una semplice idea: le nuove tecnologie possono davvero fare la differenza nella battaglia mondiale contro la povertà. Una forma di “global collective thinking” per confrontarsi e dare un contributo alla formazione delle politiche internazionali da adottare non in termini astratti, ma con esempi concreti e analisi in tre principali aree: energia, salute e cibo, connettività».

Ricco il panel degli interventi, aperto dal ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni: «Mandela diceva che l’educazione è l’arma più importante che abbiamo per cambiare il mondo. Siamo allo stato finale delle negoziazioni internazionali per adottare i nuovi Obiettivi Onu per la riduzione della povertà. I nuovi Obiettivi saranno lanciati dalle Nazioni Unite il 25 settembre. E sono centrati su un nuovo tipo di approccio che prevede degli Obiettivi di sviluppo sostenibili (si chiameranno proprio così: Sustainable Development Goals o Sdg). L’obiettivo numero 9 dice che ‘l’accesso alle tecnologie è fondamentale per lo sviluppo e per l'inclusione'».

Nicholas Negroponte, co-fondatore della MediaLab al Mit di Boston, sostiene che la connettività è un diritto umano. «Tutti i diritti umani – dice – sono liberi. Sostituite la parola diritti umani con la parola libertà, è avrete il succo del mio intervento, Internet ha reso il mondo più piccolo e la società globale. Noi siamo globali grazie alla rete. Così, la connettività deve essere libera e alla portata di tutti». Negroponte propone di creare un’organizzazione mondiale per la comunicazione, una sorta di Onu della rete per cercare di spingere la diffusione delle tecnologie e della connettività per tutti, non controllata a livello nazionale, ma globale. E stabilita come un diritto universale.

Interessante l’intervento del professor Yang Guang, dell’Accademia cinese delle Scienze sociali, che ha raccontato gli enormi passi avanti fatti dal suo paese in tema di riduzione di povertà. «Negli ultimi 30 anni in Cina 500mila persone sono uscite dalla povertà grazie ad alcune importanti riforme istituzionali che hanno favorito l’inclusione. Come la riforma dell’agricoltura e la cancellazione della tassa sulle produzioni agricole». Determinante è stata la politica centralizzata della Cina: «l’80% delle risorse allo sviluppo viene dal governo centrale e non si perde nei rivoli delle amministrazioni locali». La diffusione delle tecnologie e la costruzione delle infrastrutture hanno contribuito a ridurre questo gap. Un’esperienza che dimostra come le tecnologie possano creare dei moltiplicatori di crescita economica e sociale.

Jin-Yong Cai, vice presidente esecutivo della Banca mondiale dice: «Abbiamo l’ambizione di cambiare il mondo». Con gli Obiettivi di sviluppo del Millennio (Mdg), dal 2000 al 2015, il 25% della popolazione mondiale è uscita dalla soglia di povertà. «Un dato che fa ben sperare – dice il vice presidente della World bank – ma la fotografia non è molto bella oggi, con il mondo in recessione. Da qui al 2020 dobbiamo cercare di creare 600mila posti di lavoro all’anno nei Paesi del Sud del mondo. È un’emergenza, bisogna avere un senso di urgenza perché la gente soffre. Energia e infrastrutture sono parte della soluzione. Ma non bastano. Noi dobbiamo creare lavoro, partendo dalla manifattura, dalla produzione. Cerchiamo tutti il prossimo Jack Ma che inventi un Ali Baba africano. Ma in Africa non si produce niente. Si importa tutto dall’Asia. Questo è un problema da affrontare sia per il mercato interno che per le esportazioni. L’Africa ha bisogno di manifattura, prima di tutto, per creare lavoro dove ce n’è bisogno. Se si crea lavoro, si crea reddito, consumi. È un circuito virtuoso che genera sviluppo e ricchezza condivisa».

Per l’economista Jeffrey Sachs, direttore dell’Earth Institut alla Columbia University, le nuove tecnologie possono aiutare ad uscire dalla povertà estrema. Non risolvono il problema. «Per tanti anni si è detto che il mercato si autoregola e sistema tutto. Io non credo in questo. Il mercato non salva le persone dalla povertà, va in un’altra direzione. Lo sviluppo non è una questione commerciale, ma eminentemente politica: prima di tutto è una questione politica. Ma ci vogliono leader capaci di guardare lontano».