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Perché una Consulta moderna è indispensabile

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Perché una Consulta moderna è indispensabile

Per inquadrare correttamente nella giurisprudenza costituzionale la sentenza della Corte 70/2015 sul blocco della rivalutazione delle pensioni occorre partire da alcune considerazioni di carattere generale sulle quali ha richiamato l’attenzione Sabino Cassese nel suo originale libro «Dentro la Corte». Le questioni della Corte sono filtrate attraverso il diritto; non si affronta direttamente il problema politico. La Corte è davvero un organo giudiziario che riconduce i conflitti politici o costituzionali ai criteri di razionalità logica, alla coerenza. Molti casi hanno implicazioni politiche o costituiscono decisioni politiche sia pure a seguito di analisi tecnico-giuridica e sulla base di elementi di razionalità riconducibili alla ragionevolezza. La Corte “motiva ma non spiega”.
Ecco perché le sentenze della Corte difficilmente sono capite dall’esterno. E tuttavia il peso della Corte dipende dalla forza con la quale i poteri dello Stato la sorreggono. Tutte le sentenza della Corte sono fondate sul precedente. La sentenza 70/2015 è frutto di una concatenazione di precedenti, di riferimenti a decisioni già prese sicchè non è agevole comprendere il decisum che viene formulato alla fine della decisione. Lo sforzo delle sentenze, la motivazione, è la dimostrazione della coerenza decisione con il precedente.

Le sentenze vengono istruite sulla base di una collaborazione degli assistenti dei giudici che sono giudici e professionalmente tendono a non vedere la questione costituzioni e politiche.
I riferimenti al diritto comune sono fatti con l’adeguamento al “diritto vivente”, alla giurisprudenza dei giudici ordinari, il che può essere un limite alla impostazione in termini costituzionalmente rilevanti della questione. Complessivamente si può dire che c’è una certa autoreferenzialità, che rende la Corte prigioniera di se stessa. Le critiche alla sentenza 70/2015 sono di carattere esterno e riguardano il rapporto con gli altri poteri dello Stato. La motivazione è semplicistica: la Corte non può fare cose riconducibili al potere politico. E’ una tesi che prova troppo. Allora bisogna chiedersi (come disse il presidente Ambrosini nel 1992) che cosa ci stia a fare la Corte se non può stabilire i limiti che incontra il parlamento nella sua discrezionalità politica, che pure è un altro punto fermo della giurisprudenza costituzionale: il parlamento può fare tutto ciò che non viola la Costituzione. La sentenza 70/2015 non può essere capita dall’esterno se la critica è così radicale. La ragione è che la Corte non ha saputo spiegare in termini semplici e chiari che non esisteva il vincolo di bilancio.

Nella sentenza 10/2015 il riferimento al principio di bilancio fu un modo come un altro per giustificare la deroga alla retroattività della decisione presa. La sentenza 70/2015 appare un po’ frettolosa, anche se, a parer mio, giuridicamente corretta.
Sta nascendo in Italia un orientamento che non solo critica la Corte ma rischia di produrre come osserva Cassese, un arretramento di due secoli nella configurazione dei rapporti della Corte con gli altri poteri. Le Corti costituzionali esistono in quasi tutti i paesi democratici a cominciare dalla Corte federale degli U.S.A.I limiti alla competenza delle Corti possono essere indagati dalla comparazione degli orientamenti delle diverse Corti e la Corte italiana non è certo ultima nell’apprestare una giurisprudenza soddisfacente. Ma si sostiene che la Corte e tutti gli altri giudici in specie il TAR sono un grosso impedimento alla responsabilità politica. Si critica “il peso sempre maggiore che le decisioni delle varie branche della giurisdizione hanno sull’attività di governo.
E non si manca di rilevare che c’è un potere giudiziario anche in America.
E in soccorso di tale disinvolta teoria viene aggiunto il corollario “il modo in cui è stato esercitata l’azione penale in modo persecutorio”. Il che la dice lunga sui limiti auspicati delle diverse giurisdizioni.

Tornando alla sentenza 70/2015 essa è sostanzialmente corretta. Forse si poteva guadagnare tempo aspettando che la Corte fosse al completo o ricorrere a qualche manipolazione con una sentenza additiva. Ma l’isolamento della Corte e l’aspirazione alla vanificazione della sua giurisprudenza, in nome del primato della politica, sono tentazioni pericolose.
Come ha osservato giustamente Gustavo Zagrebelskj l’equilibrio di bilancio non deve diventare un automatico lasciapassare al libero arbitrio della politica. Il legislatore deve sempre tener presente “l’eguaglianza nella giustizia”. Il riferimento ai conti conformi della richiesta dell’Europa non deve diventare una super norma costituzionale. Ma non c’è dubbio che il rispetto degli accordi nella Comunità pone problemi che se oggi non possono essere risolti non con accorgimenti sbrigativi, va affrontato dagli stati con normative che ancora non esistono. Ma all’esterno è stato rivendicato “il primato della politica”. Sembra di sentire Togliatti quando non capiva come ci potesse essere un altro organo dello Stato che fosse al di sopra del parlamento. Ora la Corte non è al di sopra del parlamento, ma giudica della costituzionalità delle leggi. I rapporti tra poteri non possono essere configurati se non come correttezza della propria competenza. E il parlamento ha tutti gli strumenti nella legge costituzionale per dimostrare la costituzionalità delle leggi di spesa. Semmai la Corte può chiedere al parlamento e al governo chiarimenti sulle questioni dubbie. Qui diventa rilevante il ruolo dell’Avvocatura di Stato che difendendo la legge ha l’onere di illustrare come essa non violi il principio dell’equilibrio di bilancio.

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