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Il prezzo politico da Grexit ai rifugiati

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FUTURO EUROPEO

Il prezzo politico da Grexit ai rifugiati

  • –di Adriana Cerretelli

Dalla Grecia all’immigrazione potrebbe finire con uno zero a zero la partita del governo europeo delle emergenze: ogni giorno di più infatti si gioca un match collettivo dove il prezzo politico che ogni Governo è chiamato a pagare, per concludere non una buona intesa ma una semplice intesa, si dimostra proibitivo al punto da convincerlo, se appena può, a preferire il non- accordo a un accordo- boomerang sul piano nazional-elettorale interno. Ed è così che l’Europa barcolla, sempre più incerta e confusa sulle sue reali ambizioni e sul suo futuro prossimo.
La crisi greca non è di quelle che si possono seguire stando alla finestra o affrontandola alla leggera: ne andrebbe dell’irreversibilità dell’euro, della sua credibilità a lungo termine. Metterci le mani, per evitare il default della moneta unica dopo quello di Atene, può anche comportare però il rischio di bruciarsele.
Ne sa qualcosa Angela Merkel. Convinta anche per ragioni geopolitiche che la Grecia vada salvata, ora deve domare la rivolta di circa un terzo del suo partito contro un eventuale accordo diverso dalla fotocopia a suo tempo sottoscritta da Atene per beneficiare degli aiuti europei. Come sempre sarà il Bundestag a mettere il sigillo su qualsiasi nuovo patto con i greci: troppe defezioni dalle file della Cdu-Csu potrebbero dunque rivelarsi molto pericolose per la cancelliera (anche se finora se l’è sempre cavata bene).

Dalla parte opposta della barricata la stessa sorte tocca ad Alexis Tzipras. Per la prima volta da quando è andato al potere a fine gennaio, in queste ore deve fare i conti con una violenta fronda dentro Syriza, dove la sinistra più estrema predica la rottura con i creditori internazionali e con l’euro, per salvaguardare l’identità del partito. Mentre i sondaggi segnalano un netto calo dei consensi al premier ellenico che aveva incautamente promesso la fine dell’austerità. E che invece alla fine dovrà accettarla per evitare il fallimento.
Un accordo va trovato entro fine mese, se ne parlerà domani anche in margine al vertice Ue di Riga, hanno avvertito ieri all’unisono Merkel e François Hollande.
Il tempo a disposizione è agli sgoccioli, le casse di Atene sono vuote. I ricatti contrapposti lanciati da sistemi democratici e Governi sotto stress, alla ricerca di un’intesa necessaria ma riluttante, riducono tutti i margini di manovra negoziale e, soprattutto, la possibilità che alla fine si arrivi a un buon accordo, equilibrato e sostenibile.
La stessa logica paralizzante, che di fatto ruota intorno alla politica sterile dell'interdizione reciproca, anima in queste stesse ore anche il tentativo di costruire per gradi una politica comune di immigrazione, cominciando dalla gestione condivisa dell'emergenza rifugiati.

Si sapeva che il sistema delle quote, proposto da Bruxelles, incontrava la stentorea opposizione di Gran Bretagna, Spagna e Portogallo, dei tre baltici, della Polonia e di tutti i paesi dell’Est esclusi forse Bulgaria e Romania. Si credeva di sapere però che i tre Grandi, Germania, Francia e Italia, fossero comunque a favore. Dato essenziale, visto che l’entrata in vigore richiede una decisione a maggioranza qualificata: della popolazione Ue e di 14 Paesi su 28.
Hollande però si è sfilato con un no inequivocabile. «Ci sono persone che hanno diritto e altre che non hanno diritto all’asilo. Per questo rifiutiamo il concetto di quota. Ma se ci sono profughi diretti sempre negli stessi Paesi, come in Germania, Francia e Svezia, anche gli altri Paesi devono fare la loro parte. È questo che chiamiamo distribuzione». La Germania non ha fatto marcia indietro ma chiede un momento di «riflessione e approfondimento».
Dietro il voltafaccia del presidente francese ancora una volta ci sono le ragioni delle dinamiche democratiche: il successo del Front Nazional di Marine Le Pen e l’inattesa rimonta di Nicolas Sarkozy, antagonista molto ostico. Senza la Francia e salvo suoi ripensamenti, sarà difficile arrivare alla necessaria maggioranza della popolazione Ue. Come dire, presto le quote potrebbero finire in un cassetto.

La morale è scontata: crisi ed emergenze sono state, fino al crollo di Lehman Brothers, le molle decisive per far compiere all’Europa grandi passi avanti. Ormai sembra accadere il contrario, perché ai tradizionali conflitti di interessi socio- economici si aggiungono, con la crescente interdipendenza tra Paesi, anche quelli politici, democratici, culturali ed elettorali. Governare l’Europa, insomma, diventa tanto difficile che la tentazione rinunciataria troppo spesso diventa irresistibile. Come i riflessi nazionali. Bisognerebbe armonizzare non solo i conti pubblici ma i tempi elettorali delle democrazie per fermare il declino. Ma questa oggi è pura fantapolitica.

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