Prima l’aspetto positivo, mezzo pieno; poi i dubbi del bicchiere mezzo vuoto. Con la legge Ecoreati il Parlamento — era ora — sistema una legislazione ambientale inadeguata. Un esempio per tutti, il ricorso al vecchissimo articolo 674 del codice penale, il getto di cose pericolose. Una volta, quando gli opifici erano raffigurati con un’orgogliosa ciminiera fumante, l’inquinamento era non un reato bensì segno d’operosa prosperità. Mancava dal codice un articolo che punisse le emissioni. Così i fumi inquinanti sono stati sanzionati finora come “getto di cose”, cioè il reato che commette chi si mette alla finestra con un secchio pieno di sassi e lancia pietrate ai passanti sulla strada. Era ora che si adeguasse il codice.
I dubbi riguardano alcuni aspetti che fanno apparire la legge Ecoreati come una norma, certamente migliorata nel suo percorso parlamentare, ma ancora punitiva e in qualche modo già vecchia, espressione di una società che non evolve. Accade col ravvedimento operoso. Se un’azienda inquina in modo involontario (un tubo si rompe, un’autocisterna è travolta in un incidente), riceve uno sconto leggerissimo di pena se segnala subito il fatto e ripara il danno in un battibaleno. Giusto. Ma lo sconto di pena è poco percepibile, e la riparazione del danno è esposta alle maglie paralizzanti delle conferenze di servizio e dei magistrati bloccatutto: i furbi preferiranno nascondere sotto il tappeto le malefatte piuttosto che attivarsi per rimediare l’inquinamento. Con un peggioramento, non un miglioramento, dell’ambiente.
Poi la legge Ecoreati contiene elementi discrezionali. Un disastro ambientale, dice la nuova legge, è l’alterazione abusiva dell’ambiente. Come definire se un’alterazione è abusiva o autorizzata? Come definire il grado di alterazione dell’ambiente? Una manna per le procure più reazionarie e per i loro periti desiderosi di fatturare.
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