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Previdenza e lavoro i nodi aperti tra Grecia e Ue

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il vertice di riga

Previdenza e lavoro i nodi aperti tra Grecia e Ue

A pochi giorni dall’esaurimento dei margini finanziari di Atene, il clima che circonda le trattative a Bruxelles rimane di grande frustrazione. In privato i negoziatori confessano che il solo vincolo di razionalità nella trattativa è la disperazione. A Bruxelles si immagina cioè che il governo greco all’ultimo momento, di fronte a esiti disordinati e potenzialmente disastrosi per i cittadini, «si metta seriamente a negoziare», come osserva con severità uno sherpa europeo. L’incertezza è tale che i capi di governo europei, riuniti oggi a Riga, preferirebbero restare a distanza dalla questione, lasciando la trattativa ai ministri finanziari e a Bruxelles, salvo imprevedibili progressi.

Dietro le quinte infatti i toni sono tutt’altro che tranquilli. Secondo un partecipante alle trattative dell’Eurogruppo, per una rara volta tutti i ministri delle Finanze dell’area euro sarebbero unanimi nel sentirsi «presi in giro» da Atene. Wolfgang Schaeuble, che ieri ha detto di non poter più escludere il default greco, non ha la posizione più dura. Ancora più severi sono i ministri dei Paesi baltici, uno dei quali ha accusato i greci di esercitare un “ricatto”, e di Portogallo, Slovenia e Francia. L’Eurogruppo può offrire al governo di Atene la disponibilità immediata di fondi europei per nove miliardi di euro bloccati da febbraio nel Fondo ellenico di stabilità finanziaria, ma dopo quattro mesi di negoziati la delegazione greca non avrebbe ancora presentato «una proposta coerente né dal punto di vista economico né da quello politico». Solo pochi giorni fa, un rappresentante del Brussels’ Group (l’ex Troika) aveva confidato di non aver ancora capito quali fossero le concrete richieste del ministro greco Yanis Varoufakis: «In sede di trattativa è gentile ma molto vago, poi esce dalla stanza e spara a zero sugli accordi». Mesi di ambiguità negoziali, di registrazioni nascoste o di finti piani fatti circolare ad hoc, hanno reso gli interlocutori di Atene disincantati e intransigenti. Anche se ieri la Bce si è mantenuta neutrale nel finanziamento delle banche greche, i diversi vincoli istituzionali di Bce e Fmi, nonché i vincoli politici dei ministri dell’Eurogruppo, giocano contro un ammorbidimento.

Da ieri tuttavia, anche il governo greco ammette pubblicamente che il tempo a disposizione è finito e che il 5 giugno non avrà le risorse per pagare il debito verso il Fondo monetario. Solo ora, dopo aver escluso di poter negoziare sulle politiche sociali, Tsipras comincia a confrontarsi con le richieste delle istituzioni europee. La prima riguarda la necessità di assicurare la sostenibilità dei sistemi pensionistici che in Grecia assorbono il 16% del Pil contro l’11-12% della media euro. Il leader di Syriza intende al contrario revocare il taglio delle tredicesime ai pensionati introdotto dal precedente governo, nonché annullare la clausola del pareggio di bilancio per gli schemi pensionistici che in passato avevano usato generosi sussidi pubblici. Un accordo è forse possibile se saranno chiuse le finestre di prepensionamento e alzata l’età effettiva di fine lavoro.

La trattativa invece sarebbe ferma in materia di lavoro. Tsipras vuole difendere il salario minimo a 751 euro e reintrodurre i contratti collettivi che proteggono i lavoratori da licenziamenti non individuali. I partner europei chiedono invece di mantenere le riforme del precedente governo. Ma a questo riguardo, Tsipras non ha fatto aperture. La retorica generale del governo è di cancellare le sofferenze inflitte dall’eccesso di austerità fiscale imposto dalla Troika. La risposta di Bruxelles è di non voler interferire nelle scelte di politica sociale fin tanto che esse sono coerenti con l’equilibrio di bilancio. In particolare i negoziatori europei, su insistenza della Commissione, hanno accettato di ridurre sotto al 3% il target del surplus primario per il 2016 e il 2017. La riforma delle pensioni, che può cambiare radicalmente il profilo del debito greco, è però condizione indispensabile per una minore severità di bilancio. Se l’intervento sulle pensioni fose convincente, i creditori sarebbero disposti ad accordarsi senza contrastare l’aumento del salario minimo.

Anche se un accordo non è per ora in vista, c’è chi lavora alle bozze del negoziato. Ma si è dovuto fermare davanti al nodo del rapporto tra deficit e crescita. Atene richiede una formulazione che consenta al governo di comunicare un’inversione di rotta nella politica europea. Atene chiede che la crescita sia la variabile indipendente e che il deficit sia residuale, ma dopo le prime misure unilaterali di spesa del nuovo governo, i creditori hanno ragione di temere che il loro via libera venga interpretato come un ritorno alla spesa pubblica improduttiva a ruota libera dei decenni passati.

L’unico avanzamento nella trattativa sembra l’accantontonamento della richiesta di un taglio preventivo del debito. Ad Atene però Tsipras ne parla ancora e circolano presunte proposte di ristrutturazione del debito che non trovano riscontro a Bruxelles. L’unica proposta concreta (anticipata nel mese scorso da questo giornale) approderà sul tavolo del negoziato in autunno, insieme al terzo programma di assistenza. Naturalmente se non sarà già troppo tardi.

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