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L’etica civile del liberalismo sociale

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la sfida dell’italia

L’etica civile del liberalismo sociale

Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha tenuto la sua relazione all’Assemblea annuale della Associazione nello straordinario scenario mondiale rappresentato da Expo 2015 dove si fondono speranze e problemi del XXI° secolo, creatività italiana e innovatività degli altri Paesi, testimonianze di quanto fatto e progetti di quanto si dovrà fare. È la tonalità di fondo che sia il presidente della Repubblica Sergio Mattarella sia il presidente del Consiglio Matteo Renzi hanno tenuto nei loro messaggi che esprimono l’importanza attribuita dalle istituzioni all’industria italiana.

Expo: il coraggio contro il declino. L’Italia ha avuto il coraggio di presentarsi al mondo con Expo 2015 anche per rivendicare l’identità del made in Italy fatta di tante componenti che nella nostra manifattura trovano un punto d’incontro tra innovazione tecno-scientifica internazionalizzata e continuità nella qualità multiforme dei nostri prodotti. Ma ciò non basta per rilanciare la crescita e l’occupazione. Perché se ai fattori esogeni favorevoli non si aggiungono i fattori endogeni, l’Italia non si sottrarrà al declino.

Italia: fiducia e visione,realismo e decisione. Squinzi ha espresso la sua fiducia sull’Italia ma nel contempo ha sottolineato delle priorità che devono guidare le imprese, la società, le istituzioni. Sono richiami largamente condivisibili che si possono sintetizzare ed integrare come segue. Le imprese italiane devono riferirsi ad una “regola aurea” che vale per qualsiasi dimensione: innovare, capitalizzarsi, investire in formazione, in processi e prodotti, in management e marketing.

Le imprese industriali che lo hanno fatto stanno dimostrando (malgrado i fardelli di sistema) la loro capacità di penetrazione sui mercati mondiali che negli anni della crisi è stato l’aggancio che ha impedito il crollo della nostra economia. In Italia ci sono tra le 15 e le 20mila imprese che esportano, che cercano finanza per la loro crescita dimensionale e tecno-scienza per la loro innovazione. È l’esempio che tutte dovrebbero seguire.

La società italiana in corrispondenza non dovrebbe coltivare una cultura anti-industriale, anti-impresa e anti-infrastrutture estranea alle profonde trasformazioni delle aziende e delle tecniche per uno sviluppo sostenibile. Confindustria nell’articolo 1 del suo nuovo statuto enfatizza che compito delle imprese è contribuire allo sviluppo della società italiana con un sistema imprenditoriale innovativo e sostenibile. Aloro volta i sindacati dovrebbero ammodernarsi (anche per non essere delegittimati) nell’apertura sulla revisione delle relazioni industriali e degli assetti contrattuali da cui dipende una sana dinamica retributiva legata alla produttività.

Il Governo italiano infine deve proseguire nel lavoro fatto in termini di pagamento (sia pure incompleto) dei debiti delle pubbliche amministrazioni verso le imprese, di riduzione dell’Irap e degli oneri sociali, di moratoria sui debiti bancari, di jobs act. Adesso bisogna accelerare sulla attuazione della delega fiscale (che gli organismi internazionali auspicano porti ad un alleggerimento del gravame su imprese e lavoro anche recuperando l’evasione), sul credito di imposta per la ricerca (anche per favorire la collaborazione tra pubblico e privato), sul sostegno alla brevettazione e all’internazionalizzazione.

In definitiva a noi pare che il sistema Italia, in cui operano imprese, forze sociali, soggetti istituzionali(quali decisori ed esecutori), debba essere molto più consapevole che la competitività internazionale richiede quella coesione nell’innovazione senza la quale il nostro declino diventa inevitabile. Cammino quest’ultimo lungo il quale, segnalano i report internazionali, l’Italia si è inoltrata da tempo e che può essere invertito eliminando posizioni di rendita anche con una incisiva riforma della spesa pubblica (in uno con quella del welfare per finalizzarlo ai più bisognosi) e della burocrazia con le semplificazioni.

Europa: ritrovare la forza. Un europeista come Squinzi proprio da questo tema ha iniziato la sua relazione. Netta è la sua convinzione che questa grande realtà politica, sociale ed economica stia correndo un rischio gravissimo. Quello di regredire invece che essere proattiva nel XXI secolo così come lo è stata nella seconda parte del XX secolo. Rigorismo eccessivo, interessi nazionali e separatismi interni, burocrazia procedurale che prevale sulla visione politica, stanno indebolendo l’Europa anche se la stessa ha tuttora il più forte sistema manifatturiero unito ad alti livelli di civiltà nel welfare e nella sanità. È davvero strano che mentre tutti riconoscono all’opera di Draghi e della Bce il merito di aver assicurato fino ad ora l’integrità dell’Eurozona non tutti capiscono, diversamente dalla gran parte degli imprenditori, che senza un vero piano di investimenti infrastrutturali materiali (ovvero reti energetiche e di trasporto) ed immateriali(ovvero formazione e tecno-scienza) che potenzi il progetto Juncker, la debolezza europea diventerà endemica.

Una conclusione. La filigrana della relazione di Squinzi si è espressa sulla linea italo-europea e nell’ammirazione per gli imprenditori alla Michele Ferrero che viene esplicitamente citato per ricordare come il suo motto fosse quello di una azienda sempre più solida per dare a tutti i suoi lavoratori un posto sicuro. Questa non è retorica ma etica civile di quel liberalismo sociale che caratterizza, nel pubblico e nel privato, l’Italia migliore.

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