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La politica italiana per l'Europa e le alleanze

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unione monetaria

La politica italiana per l'Europa e le alleanze

Dopo più di un anno dalla sua formazione e a quasi sei mesi dalla fine del semestre europeo, il governo Renzi sembra aver elaborato una sua chiara politica sull'Europa e la moneta comune, almeno così appare da un memo misteriosamente pervenuto a Il Foglio. Ci sono molti aspetti positivi che emergono da questo memo. Innanzitutto l'esistenza di una politica sull'Europa. Il rapporto con l'Europa degli ultimi governi sembrava più di subordinazione che di appartenenza. All'Europa si chiedeva flessibilità sul nostro budget e si prometteva di fare le riforme. Sembrava una potenza dominante, non un'unione cui noi apparteniamo a pieno titolo e che - come una delle nazioni più importanti - abbiamo il diritto di indirizzare. Nel memo si parla di necessità di “riforme ambiziose” per rendere l'unione monetaria sostenibile, ammettendo implicitamente quello che molti vanno dicendo da tempo, ovvero che così come è l'euro non è sostenibile.

È un approccio da membri, non da sudditi.

In secondo luogo, il cambio di enfasi. Nel documento non c'è traccia di discussione sulla flessibilità fiscale, di fiscal compact, di deroghe alle regole di bilancio. Non si parla neppure di eurobond, un concetto tanto caro alla Sinistra italiana quanto non ragionevole. Non tanto perché i Paesi più ricchi non siano disponibili a condividere i debiti degli altri, quanto perché questa condivisione creerebbe gli incentivi sbagliati nei paesi fortemente indebitati: ovvero ad indebitarsi maggiormente, visto che in futuro qualche d'un altro pagherà i loro debiti. Perfino il fantomatico piano di investimenti europei non sembra giocare un ruolo fondamentale.

L'enfasi del documento è giustamente su meccanismi di condivisione del rischio (“risk sharing”) tra Paesi: ovvero non trasferimenti permanenti da una nazione all'altra ma meccanismi temporanei ma automatici per attenuare la severità di crisi regionali: in particolare, una vera unione bancaria e un'assicurazione europea contro la disoccupazione. Il documento mette in evidenza come l'unione bancaria ottenuta finora sia imperfetta, ed espone cosa bisogna fare per renderla un sistema effettivo di risk sharing a livello europeo. Ma soprattutto porta al centro del dibattito l'idea di un'assicurazione europea contro la disoccupazione.

La stragrande maggioranza degli economisti ritiene che un'unione monetaria tra aree economiche disomogenee richieda un meccanismo automatico di redistribuzione fiscale e che il meccanismo più efficace sia un sussidio automatico di disoccupazione. Nonostante queste forti motivazioni teoriche, una proposta in questo senso non è mai stata presa in seria considerazione a livello politico. Viene spesso considerata impraticabile perché i tedeschi non si fiderebbero mai che un disoccupato italiano o greco lo sia veramente. Queste critiche però ignorano due fatti. Primo, che questo problema esiste anche per l'unione bancaria (perché un tedesco dovrebbe fidarsi della solidità delle banche italiane?) ed è stato risolto con un supervisore europeo, non si vede quindi perché non si possa fare lo stesso per la disoccupazione. Secondo, che presa seriamente, questa critica distrugge qualsiasi prospettiva di un'unione europea. Se i tedeschi continuano a ritenere gli italiani o i greci inaffidabili, come possiamo sperare nella sopravvivenza di un'unione con istituzioni comuni?

Nonostante gli aspetti positivi, il memo presenta due limiti. Il primo riguarda la mancanza di una visione europea per formare un consenso su questa proposta. Non c'è l'ombra di un'alleanza tra Paesi su questa piattaforma. Non c'è neppure un riferimento al lavoro effettuato dal Tesoro francese sul progetto di un'assicurazione europea contro la disoccupazione, culminato con una proposta del premio Nobel per l'economia Jean Tirole. L'unica chance di vedere questo piano attuato, anche in parte minima, è quella di formare un'alleanza con altri Paesi europei, Francia in testa. L'assenza di qualsiasi segnale in questa direzione è preoccupante.

Come preoccupante è il modo in cui questa nuova politica è stata annunciata. Non un discorso di Renzi in qualche prestigiosa sede europea, non un incontro bilaterale con qualche importante leader europeo, ma un memo che finisce direttamente a un quotidiano nazionale. L'obiettivo di questa svolta politica è generare consenso a livello europeo o rispondere alle esigenze tattiche di un Renzi stretto tra una destra antieuropeista, un Movimento 5 Stelle anti euro, ed una nascente ala sinistra sempre più anti euro?

Se si trattasse solo di quest'ultimo sarebbe un vero peccato. Una grande occasione mancata. Dopo aver passato gli ultimi anni a chiederci quali riforme noi dobbiamo fare per restare in Europa, è giunto il momento di domandarsi quali riforme l'Europa deve fare per sopravvivere. Pochi hanno la credibilità ed il potere di Renzi per domandare queste riforme e soprattutto per realizzarle. Basta che lo voglia veramente e non sia solo tattica elettorale.

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