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Il coraggio che serve per salvare l’Europa

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FEDERALISMO O ROTTURA

Il coraggio che serve per salvare l’Europa

Mai come ora l’Europa si ritrova ad un bivio: è ormai urgente la scelta tra la grande Europa federale o la disgregazione.

La fondamentale ambiguità dell’atto di fondazione, dalla quale anche l’attuale bivio deriva, è già presente nel discorso di apertura del primo presidente, Jean Monnet, nell’agosto del 1952, il quale sottolineava che i poteri sovrani rimasti ancora ai governi nazionali avrebbero dovuto passare a un’Europa federale, con competenze sovrane. Nel seguito si sono succedute alterne vicende, privilegiando ora la prevalenza delle forze intergovernative come ai tempi del generale de Gaulle, ora il progetto federalista di integrazione europea durante la presidenza della Commissione da parte di Jacques Delors.

Ma oggi la disgregazione è purtroppo più che mai vicina.

I segni sono molteplici: dal Front National di Marine Le Pen in Francia, che vuole che la Francia abbandoni l’Unione europea e riacquisti completa sovranità, riprendendo il franco in sostituzione dell’euro; ai minacciati referendum del Regno Unito; alla vittoria spagnola di Podemos, che si unisce a quella di Tsipras in Grecia nella feroce contestazione della politica europea di austerità. Quest’ultima ha portato la Grecia in una situazione che, dopo lunghe trattative, è tuttora di incerta soluzione, con la probabile alternativa di un’uscita della stessa Grecia dall’euro e dall’Unione e la prospettiva di un futuro disastroso.

A questi si aggiunga la tendenza di nuovi membri dell’Unione europea ad abbracciare regimi antidemocratici di destra, cui si accompagnano un po’ in tutti gli Stati membri movimenti populisti di chiare tendenze antieuropee, alimentate da una inefficiente politica dell’Unione sul sempre più grave e assillante problema delle migrazioni.

La possibilità di disgregazione è fortemente aumentata con la globalizzazione economica, accompagnata dalla sempre più dirompente finanziarizzazione del capitalismo e dell’economia mondiale.

Orbene, nonostante il mercato unico e la moneta comune, l’Europa è ancora vittima dell'ambiguità iniziale della sua fondazione, che in questo caso si rivela soprattutto nella mancanza di una politica fiscale ed economica europea. Così come è stato introdotto, l’euro è, per tutti i Paesi membri, una moneta straniera, tant’è che né la liquidità monetaria, né il tasso di interesse sono nel loro controllo. La conseguenza è che quando i singoli Stati dell’Unione si ritrovano in deficit devono rivolgersi ai mercati finanziari mondiali, alle loro speculazioni e ai grandi investitori, del tutto indifferenti al futuro dei popoli e delle nazioni.

Ed è così che quando il rapporto tra debito e prodotto interno lordo aumenta, inizia un pericoloso circolo vizioso, nel quale strumenti finanziari derivati aumentano, ad infestare i mercati, per assicurare il credito in caso di fallimento dello Stato debitore; i rating cominciano a declinare e i tassi di interesse a salire, aumentando la crisi del debito. È a questo punto che poi intervengono le politiche di austerità volute dalla “troika”, capeggiata dal Fondo Monetario Internazionale, che impongono riforme sempre più punitive, delle quali la Grecia è vittima esemplare.

Ed è così che, dopo anni di scarsa governance europea, da una Germania unita in un’Europa unita siamo arrivati ad una Germania egemone sul governo dell’Unione e sulla conseguente politica di rigore nei confronti di Paesi membri fortemente indebitati. In un’Europa dunque, sempre meno solidale e più divisa, si aggiunge ora un inquietante paradosso: quello che da tempo riguarda il complesso rapporto della Germania con l’Occidente e in particolare con l’Europa. Il profondo collegamento della Germania con i fondamenti della civiltà europea, alla quale è legata la sua grande cultura, e che ha creato una solida integrazione con l’Occidente, il cosiddetto Westbindung, ha avuto una recente conferma a seguito dell’annessione della Crimea da parte della Russia nel marzo del 2014, unita alle azioni militari della Russia in Ucraina.

Nonostante la dipendenza energetica della Germania dal gas russo e la enorme importanza delle esportazioni tedesche in Russia, Angela Merkel non solo ha approvato l’imposizione di sanzioni alla Russia, ma ha anche persuaso gli altri membri dell’Unione europea a seguirla.

Pur tuttavia, non c’è dubbio che l’attitudine della Germania nei confronti dell’Occidente è spesso stata ambigua. Sull’invasione dell’Iraq nel 2003, il Cancelliere Gerhard Schröder parlò di una “via tedesca” in contrasto con una “via americana”, contro l’uso delle forze militari. E non c’è dubbio che, ad incominciare proprio da Schröder, la Germania ha legato la politica estera ai propri interessi economici, e in modo particolare a quelli relativi all’esportazione.

Al grande balzo delle esportazioni verso la Russia, la quale dal 2013 rifornisce la Germania per quasi il 40% di petrolio e di gas - con una dipendenza energetica praticamente totale - si è aggiunto un incredibile rapporto anche con la Cina, divenuta il secondo maggior mercato delle esportazioni tedesche fuori dall'Unione europea e il più grande mercato per l’industria automobilistica, dalla Wolkswagen alla Mercedes.

Questa situazione ha fatto ricordare la vecchia politica verso Oriente inaugurata da Willy Brandt, e conosciuta come Ostpolitik, diretta a bilanciare lo Westbindung. Il caso più evidente di politica estera orientata alla Ostpolitik è forse quello del voto contrario all’intervento militare in Libia, della Germania, insieme alla Cina e alla Russia, nel 2011 al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dove avevano invece votato a favore Francia, Regno Unito e Stati Uniti.

Il pericolo di una disgregazione europea, di fronte alla consistente aggregazione euroasiatica dimostra come anche il paradosso tedesco, che per la Germania comunque è una soluzione possibile, lasci gli altri Stati membri di un’Unione europea disgregata nella totale incapacità di risolvere i loro problemi e di assicurare il loro progresso e controllare il loro futuro.

Anche per la politica italiana una visione europea unitaria diventa quindi prioritaria, rispetto a tutti gli altri problemi. Vale qui la pena di ricordare ancora una volta il Manifesto di Ventotene, nel quale si individuava la federazione europea come garanzia per una politica globale pacifica. «E quando, superando l’orizzonte del vecchio continente, si abbracci in una visione d’insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità, bisogna pur riconoscere che la federazione europea è l'unica garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici ed americani possono svolgersi su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo».

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