Commenti

C’è troppo petrolio, speculatori in agguato

  • Abbonati
  • Accedi
MATERIE PRIME & FINANZA

C’è troppo petrolio, speculatori in agguato

C’è ancora troppo petrolio sul mercato, l’offerta continua a crescere e nessuno è in grado di fermarla. Nemmeno l’Opec ci proverà nella riunione fissata per dopodomani. In realtà, se i prezzi del greggio continuano a resistere, e in alcuni giorni a avanzare, è dovuto solo a una forte speculazione finanziaria non sostenuta dai fondamentali. Ancora ad aprile, gran parte dei paesi-chiave per il petrolio ha raggiunto nuovi record storici di produzione, a dispetto di prezzi del greggio che li vorrebbero in situazioni disperate. È il caso di Russia e Canada. Addirittura, il Canada ha superato per la prima volta nella sua storia la pietra miliare di 4 milioni di barili al giorno (mbg) di produzione, nonostante il paese abbia alcuni dei progetti con i costi marginali più alti al mondo.

La Russia, invece, ha sfiorato una produzione di 10,8 mbg, anch’esso un record impensabile visti i problemi finanziari e il regime di sanzioni internazionali che gravano su Mosca. Nel contempo, hanno aumentato la loro produzione paesi attanagliati da ben altre difficoltà, come Iran e Iraq – dimostrando che il loro potenziale è enorme – e ha spinto sull’acceleratore della produzione anche l’Arabia Saudita, rinunciando a parte della sua «spare capacity» (capacità inutilizzata) pur di conquistare quote di mercato. Sorprendenti (non per chi scrive) sono anche gli ultimi dati sulla produzione statunitense di greggio. Su base mensile, gli USA hanno superato a aprile la soglia dei 9,5 mbg di produzione, il dato più alto degli ultimi 40 anni. Su base settimanale, la produzione americana ha continuato a crescere anche a maggio, sfiorando i 9,6 mbg nella penultima settimana del mese. Anche in questo caso, si tratta di un record assoluto da quando esistono statistiche settimanali (dal 1983) sulla produzione statunitense. In sostanza, i primi sei produttori mondiali di greggio (Russia, Arabia Saudita, Stati Uniti, Canada, Iraq e Iran) continuano a aumentare la produzione. Ma analizzando la situazione di ogni singolo paese, si fa fatica a trovarne qualcuno che stia perdendo terreno. Le uniche vistose eccezioni sono il Mare del Nord, in particolare nella sezione britannica, e il Messico. Ma la riduzione di produzione delle due aree è poca cosa rispetto al volume mondiale dell’offerta.

I prezzi tengono, perché c’è speculazione
Perché, allora, i prezzi del greggio tengono? A causa di un un’enorme speculazione finanziaria che ha preso corpo negli ultimi mesi. All’inizio di maggio, le posizioni nette lunghe sui future del Brent (in sostanza, le scommesse sul rialzo dei prezzi del greggio), mentre quelle su WTI (il greggio di riferimento americano) sono cresciute del 50% dall’inizio di marzo. Nello stesso arco di tempo, il prezzo del petrolio (sia Brent, sia WTI) è aumentato di circa il 30%. La stessa euforia finanziaria si è registrata nel mercato delle opzioni, con i prezzi dei titoli “call” (una sorta di scommessa assicurativa sul rialzo dei prezzi) cresciuti sensibilmente rispetto a quelli delle opzioni “put” (titoli che proteggono da eventuali cadute dei prezzi). Certo, la speculazione non nasce dal niente: scaturisce da aspettative più o meno fondate; ma deriva anche da una tendenza degli investitori – perfino dei più sofisticati (come ben spiega la finanza comportamentale) – a muoversi “in gregge” sulla base dei comportamenti seguiti da tutti gli altri, a loro volta innestati da segnali superficiali. Nel nostro caso, quei segnali sono stati sintetizzati nella prima metà di maggio da Fathi Birol, capo in pectore della principale fonte di analisi del mercato petrolifero mondiale – l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) – per spiegare perché la ripresa del greggio è destinata a durare. Nonostante l’AIE si sia caratterizzata per aver previsto soprattutto il passato, ma mai il futuro (nemmeno immediato), Birol ha sostenuto che il massiccio taglio di investimenti annunciato dall’industria petrolifera mondiale e il rimbalzo in atto della domanda mondiale di petrolio hanno di per sé la forza di sostenere i prezzi nei prossimi mesi. In sostanza, la produzione mondiale dovrebbe ridursi, proprio mentre il consumo tende a crescere. Questi due elementi sono diventati l’argomento principe di chiunque preveda un corso più sostenuto del greggio, insieme ai venti di crisi e guerra che spirano su alcune aree critiche per la produzione di petrolio.

Aspettative infondate
Ma a grattare la vernice, si scopre che la loro fondatezza è discutibile, se non del tutto assente. La prima di queste aspettative è che la produzione sia destinata a ridursi a causa dei massici tagli agli investimenti annunciati da tutte le compagnie petrolifere mondiali. Questa attesa, però, non ha fondamento. È vero, l’industria petrolifera ha annunciato tagli massicci di investimenti, pari a quasi 100 miliardi di dollari nel solo 2015. Ma è altrettanto vero che la stragrande maggioranza di quei tagli riguarda progetti di sviluppo gas, nuova esplorazione, piani di sviluppo petrolifero non ancora avviati o altri settori dell’industria stessa. Al contrario, i progetti in corso per lo sviluppo o il ri-sviluppo di giacimenti petroliferi non si fermano. In molti casi, si tratta di progetti avviati anni fa, che continuano a dare il loro risultato man mano che si completano e/o si completeranno.

Ho fatto un test con un campione esteso (20) di grandi e medie società petrolifere, chiedendo a ciascuna di esse cosa si aspettasse per il futuro. Tutte mi hanno risposto (con due sole eccezioni) di credere fermamente in un rialzo dei prezzi del greggio proprio a causa del taglio degli investimenti annunciato da tutti. La domanda successiva è stata: «anche voi avete annunciato massici tagli, ma avete tagliato investimenti di sviluppo petrolifero in corso?» La risposta è stata un secco «no». Naturalmente, la domanda finale è stata: «da chi vi aspettate allora i tagli di produzione futura?» Dopo qualche perplessità, la risposta generale che mi è stata data è «dagli altri». Non poteva non seguire una domanda supplementare: «ma chi sono gli altri, nel dettaglio?» Nessuno ha saputo spiegarlo. Il diavolo sta nei dettagli, e ciascun serio analista dovrebbe entrare nel merito non dei macro-numeri dei tagli, ma in modo chirurgico nei capitoli in cui i tagli sono stati distribuiti dalle varie compagnie petrolifere, sia private sia appartenenti a stati sovrani. Questo tipo di analisi rivela che c’è tanta nuova capacità produttiva che si prepara a arrivare sul mercato da qui ai prossimi anni perché chi ha già speso miliardi di dollari per sviluppare un giacimento punta a recuperare il prima possibile quanto investito. Inoltre, la stragrande maggioranza delle compagnie ha l’imperativo categorico di rimpiazzare le riserve di greggio consumate ogni anno, a fronte di scoperte sempre più povere di petrolio e ricche di gas naturale che minano strutturalmente la futura redditività. Solo negli Stati Uniti il taglio di investimenti è stato di rilevanti proporzioni, determinando un crollo verticale delle perforazioni. Ma a causa di fattori tecnologici, economici e di maggiore conoscenza delle formazioni «shale», la caduta nell’utilizzo degli impianti di perforazione (più che dimezzato rispetto a un anno fa) non è bastata a ridurre la produzione del paese – come avevo già previsto in altri articoli per questo giornale (si veda il primo grafico di questa pagina).

Rimbalzo ed eccesso produttivo
L’altra aspettativa che ha alimentato la speculazione è quella di un forte rimbalzo della domanda mondiale di greggio, causato dall’abbassamento dei prezzi. In effetti, la crescita si sta verificando, e potrebbe risultare significativa man mano che si va verso la stagione estiva, dove in genere si raggiunge il picco dei consumi. Tuttavia, i primi dati segnalano che il rimbalzo della domanda è troppo modesto per assorbire l’eccesso di capacità produttiva mondiale. Sarebbe necessaria una crescita di almeno 2,3-2,5 mbg su base annua per intaccare il surplus produttivo, mentre quello che si prefigura è un aumento che oscilla tra 1,1-1,5 mbg. Va sottolineato che la valutazione della domanda futura, anche a breve termine, è da sempre uno dei puzzle più complicati del mercato petrolifero, a causa di buchi informativi e ritardi nella raccolta di dati che da sempre affliggono il lavoro degli analisti. Ma ci sono elementi che spingono a particolare cautela. Da ottobre a aprile, oltre 200 milioni di barili di greggio sono stati assorbiti non da consumi effettivi, ma da accumulo di scorte negli Stati Uniti (110 milioni di barili) e Cina (90 milioni di barili). Nei prossimi mesi, questa forte spinta all’accumulo di scorte diminuirà, con effetti ancora da capire sulla domanda mondiale. In particolare, una parte in eccesso delle scorte potrebbe rifluire sul mercato, rendendolo ancora più liquido. Ulteriori elementi di cautela sul rimbalzo della domanda di petrolio riguardano i tagli diffusi ai sussidi sui consumi di prodotti petroliferi in molti paesi in via di sviluppo – soprattutto asiatici – come pure gli effetti delle legislazioni ambientali che cercano di limitare la corsa frenetica ai consumi stessi in gran parte dei paesi del mondo.

Le aree critiche
L’ultimo elemento che ha sostenuto i prezzi del greggio negli ultimi mesi è stato il permanere di alcune crisi geopolitiche riguardanti aree critiche per il petrolio. Nelle ultime settimane, a tener banco tra gli speculatori è stato il confronto indiretto tra Arabia Saudita e Iran per il futuro dello Yemen, sotto al quale cova il fuoco dell’egemonia nell’intero Golfo Persico. E poi rimangono le incognite sulla penetrazione dell’ISIS in Iraq, sull’evoluzione dei negoziati internazionali con l’Iran, sulla caotica situazione della Libia. Più della domanda di petrolio, la geopolitica del petrolio rimane la vera, grande incognita per il futuro dei prezzi. Nondimeno, è difficile che questi fronti di crisi possano causare ulteriori tagli all’offerta mondiale di greggio. La stragrande parte della produzione irachena di greggio proviene dal sud del paese a controllo sciita, che sembra immune alla penetrazione dell’ISIS. La Libia è già ai minimi produttivi da diverso tempo, con una produzione che si aggira sui 400,000 bg contro un potenziale minimo di 1.6-1.8 mbg. Nonostante le sanzioni internazionali, l’Iran è riuscito a aumentare la produzione e la commercializzazione di greggio negli ultimi mesi, e la situazione del paese potrebbe avere una svolta se – a fine giugno – raggiungesse un accordo sulla questione nucleare. Per tutti i motivi che ho elencato, mi sembra quanto meno affrettato pensare che il peggio sia passato per i prezzi del petrolio. Forse l’avvio verso la stagione estiva darà qualche ulteriore motivo di supporto ai prezzi stessi, ma così facendo renderà possibile per molti produttori – a partire dalle società impegnate nello shale USA – continuare a investire nello sviluppo di nuova offerta con meno ansia. E questo preparerebbe un autunno in cui il surplus di greggio tornerebbe a assumere un ruolo di “legge di gravità” del mercato.

Di fronte a queste prospettive, l’Opec non ha carte da giocare. Se tagliasse adesso la sua offerta di greggio non farebbe che favorire i paesi a maggior costo di produzione. Di questo resta convinta l’Arabia Saudita, il paese che detiene il vero potere di indirizzo dell’Opec stessa. E per questo motivi, è inutile aspettarsi qualche decisione significativa dalla riunione che si terrà a Vienna.

Leonardo_Maugeri@hsk.harvard-edu

© Riproduzione riservata