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Il nodo di Gordio della crisi europea

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EUROPA E RILANCIO

Il nodo di Gordio della crisi europea

L'Europa è sempre stata un'equazione imperfetta, carica di incognite volutamente più insolute che risolte. Da tempo però la sua ambiguità esistenziale non riesce più a purificarsi nella “politica dei piccoli passi” per diventare costruttiva, sia pure troppo lentamente. Il modello ormai non risponde più. Peggio, abbandonato a se stesso, si destruttura affondando nelle proprie contraddizioni, ripiegando sul falso conforto dei piccoli nazionalismi in libertà. Perché?

Nello spazio di una generazione l'Europa è profondamente cambiata: il mondo e l'economia globali ne hanno sconvolto tutti i parametri culturali e strategici di riferimento, la rivoluzione digitale mette alle corde la “meccanica” democratica come il sistema di aggregazione elettorale. Le sue politiche economiche, finanziarie, sociali, migratorie sembrano fatte apposta per perdere consensi invece di cementarli. E così troppo spesso si tende a minimizzare le enormi conquiste dell'integrazione. Con il rischio, alla fine, di gettare con l'acqua anche il bambino. In questo mese di giugno che si annuncia di fuoco, quel rischio non è affatto peregrino. L'ingorgo delle crisi di rigetto accumulate promettono di rovesciarsi tutte insieme sul tavolo del vertice Ue del 25-26 a Bruxelles. In attesa dell'autunno caldo delle legislative in Spagna, Portogallo e Polonia.

Ammesso che la crisi greca si risolva in qualche modo rapidamente fugando lo spettro di Grexit, l'affastellarsi in contemporanea di spinte centrifughe e centripete potrebbe produrre un corto circuito ingovernabile in assenza di una leadership politica forte e di una visione chiara e condivisa sul tipo di Europa e di futuro da ricostruire.

Quando Margaret Thatcher regnava a Downing Street terrorizzando i partner europei, il suo obiettivo non era la secessione ma integrazione europea e mercato unico a immagine e somiglianza degli interessi inglesi. Allora Londra era all'offensiva. Non sulla difensiva come oggi con David Cameron che minaccia Brexit puntando alla revisione dei Trattati Ue (che quasi certamente non otterrà) senza avere una credibile alternativa strategica alla partnership Ue.

La prova della sua debolezza negoziale emerge evidente quando tenta di presentare le proprie rivendicazioni come «un bene non solo per la Gran Bretagna ma anche per l'Europa, per renderla meno burocratica e più competitiva». Come se, prima di lui, non ci avesse già provato, senza esito, Tony Blair con uno stentoreo discorso all'Europarlamento. Come se la Commissione Juncker non avesse già fatto sue quelle priorità che, sempre a parole, sono state anche quelle di alcune Commissioni precedenti. Sui punti più urticanti, deroga alla libera circolazione dei cittadini Ue e all'euro-regolamentazione per la City, per ora la chiusura dell'Europa pare invece totale.

Il problema di fondo è però un altro: ipotizzando che alla fine Brexit non ci sarà perché un popolo pragmatico come quello inglese stabilirà che non gli conviene, Cameron dovrà decidere quale sarà la “sua” Europa, in quale cerchio di integrazione. Le pulsioni disgregative in atto da Londra ad Atene passando per i partiti nazionalisti ed euroscettici ne stanno provocando altre, di segno opposto. Germania e Francia, come Italia, Bce e Commissione Juncker, appaiono decise a rafforzare quanto prima il governo dell'Eurozona, con un salto di qualità integrativa che la ricompatti e ne faccia il motore e il “cervello” della nuova Europa.

Impresa tutt'altro che scontata. In tempi di diffusa impopolarità dell'Ue non è facile convincere i suoi cittadini ad accettare vincoli ancora più stringenti in fatto di bilancio, fisco, lavoro e pensioni . Tanto più che alcuni dogmi come il patto di stabilità rafforzato continuano ad essere mal digeriti. La recente filippica dell'Fmi contro le regole di governance dell'euro, troppo «rigide, superate e complesse» , contro i parametri del 3% e del 60% per deficit e debito diventati incoerenti e irrealistici con il calo del potenziale di crescita nominale a medio termine da oltre il 5% a meno del 3% (e non in tutti i Paesi) non aiuta la causa degli integrazionisti dell'euro. Né eventuali ripensamenti di chi è fuori, come la Gran Bretagna. Per questo non è detto che il vertice di giugno riesca a tagliare il nodo di Gordio. Più probabile che si dimostri il solito vano appuntamento che lascia l'Europa prigioniera impotente di se stessa.

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