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Globalizzazione mina sulla salute dei lavoratori dell’Occidente

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fondazione debenedetti

Globalizzazione mina sulla salute dei lavoratori dell’Occidente

«Mentre nel mondo occidentale diminuisce sul lungo periodo l’incidenza delle morti bianche, aumenta quella delle malattie psicosomatiche e dei traumi psichici che colpiscono i lavoratori dei settori industriali sottoposti alla concorrenza dei Paesi emergenti. Sono fenomeni poco conosciuti, ma di grande importanza sotto il profilo scientifico e per lo sviluppo delle policy». Carlo De Benedetti, presidente della Fondazione Rodolfo Debenedetti, ha così introdotto i lavori della diciassettesima conferenza che, con il titolo “Health and Work Safety”, si è svolta sabato a Ravenna. «Si tratta di tendenze su cui è necessario fare sempre più luce – ha aggiunto il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti – ed è fondamentale il ruolo di centri di ricerca, come la Fondazione Debenedetti, che realizzano analisi in un network internazionale. Questi studi possono contribuire anche alla costruzione di un sistema permanente di monitoraggio delle policy, attività a lungo trascurata nella storia del nostro Paese». Dunque, einaudianamente, conoscere per deliberare.

Sabato, a Ravenna, a fianco di presentazioni come quella di Paolo Pinotti (coordinatore della Fondazione, in vece di Tito Boeri, ora alla presidenza dell’Inps) che ha mostrato come i morti sul lavoro siano calati dallo 0,4% ogni mille abitanti degli anni del Boom allo 0,1% ogni mille abitanti di oggi, ha molto colpito il paper “Trade-Induced Mortality” che è stato illustrato dai due autori Jérôme Adda, dell’Università Bocconi, e Yarine Fawaz, dell’Universitat Autonoma de Barcelona. La globalizzazione non ha soltanto effetti economici sulle imprese dei Paesi occidentali in quanto organismi industriali e tecnologici, commerciali e finanziari. La globalizzazione – in particolare nella sua componente più aggressiva, le nazioni che “beneficiano” di asimmetrie regolatorie e di veri e propri dumping - condiziona anche la qualità della vita e la salute dei lavoratori occidentali. E lo fa profondamente, arrivando ad influire perfino sui loro tassi di mortalità. In questo studio, attraverso classiche tecniche econometriche applicate per l’Italia sui dati micro dell’Inps (un campione di 500mila lavoratori fra 1990 e 2013) e per gli Stati Uniti sulle statistiche dell’Nhis (National Health Interview Survey) relative a 130mila addetti nel periodo compreso fra il 1986 e il 2009, Adda e Fawaz hanno evidenziato la relazione fra l’esposizione alla concorrenza internazionale di due economie avanzate – appunto Italia e Stati Uniti - e il tasso di mortalità dei lavoratori. Considerando la manifattura nel suo insieme – e dunque stimando l’effetto complessivo sull’economia reale, una “media” che sintetizza l’effetto nullo su alcuni comparti come l’automotive industry e l’effetto pervasivo e duro su settori come il tessile di bassa qualità – a un aumento di un miliardo di dollari delle importazioni cinesi in Italia e in America si associa un incremento del tasso di mortalità del 7% per i lavoratori della prima e del 2% per i lavoratori della seconda. Adda e Fawaz quantificano anche i decessi in più all’anno nelle due intere economie reali, collegabili a questo specifico fenomeno: 250 nel nostro Paese e 330 negli Stati Uniti. E provano a definire le diverse cause di morte: l’effetto è dovuto principalmente all’aumento dei suicidi, dei casi di cirrosi e delle patologie respiratorie. Nel nostro Paese, secondo questo studio di Adda e Fawaz i decessi connessi all’intensificarsi della competizione internazionale si concentrano – come era prevedibile - nelle aree a maggiore vocazione manifatturiera: Veneto, Lombardia e Piemonte.

In qualche maniera, dunque, con l’algida logica causa-effetto propria delle tecniche econometriche standard, si pone in evidenza – negli Stati Uniti, ma soprattutto in Italia - un fenomeno di crisi psichica e organica dei lavoratori che si trovano ad operare in fabbriche obsolescenti e fuori mercato, spesso alle prese con cassintegrazione e mobilità, salvataggi e concordati. Quasi che, alla ristrutturazione del sistema industriale occidentale, si accompagni una sorta di destrutturazione delle anime.

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