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Matera dal trionfo al tutti contro tutti

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cultura e business

Matera dal trionfo al tutti contro tutti

Ci vorrebbe un fermo immagine per la campagna elettorale materana. Una sospensione del tempo e dello spazio. Una quaresima di silenzio e meditazione.

I materani, compresi i due candidati che ormai si sfidano all'arma bianca, dovrebbero essere obbligati ad affacciarsi sul sasso Caveoso come usava Pierpaolo Pasolini durante le pause di lavorazione del Vangelo secondo Matteo, anno di grazia 1964, assorto a contemplare lo spettacolo che si srotolava sotto i suoi occhi con il pugno della mano destra a sorreggere il mento. L'intellettuale friulano tentava di impossessarsi dell'enigma che quel luogo pare sempre sul punto di volerci svelare, il segreto dell'origine del mondo e della religiosità intrinseca di alcune organizzazioni urbane, un mistero che Matera condivide con Petra e Aleppo, le città più antiche del pianeta, ma anche con Gerusalemme. Matera liberata, ci verrebbe da dire. Liberata dalla demagogia e dallo scontro tribale in cui è precipitata dopo la designazione a capitale europea della Cultura 2019. Con quelle oscillazioni tipiche del temperamento meridionale, si è passati dal massimo della concordia al risentimento più estremo. Il 17 ottobre di neppure un anno fa gli stessi uomini che si stanno accusando di un campionario infinito di opacità, scorrettezze e menzogne si abbracciavano in piazza San Giovanni ubriachi di felicità. Qualche secondo prima da via del Collegio Romano, sede del ministero dei Beni culturali, il ministro Franceschini aveva ufficializzato la vittoria di Matera nella gara a sei che la opponeva a Cagliari, Lecce, Perugia-Assisi, Ravenna e Siena. Era la vittoria di una città intera. E come rimarcò giustamente il sindaco “un trionfo di tutto il Sud”. Merito indiscutibile di Adduce era stato quello di individuare un coach, il direttore artistico Paolo Verri, estraneo alla comunità materana – è torinese – e con un curriculum al di sopra di ogni sospetto. Un'ibridazione riuscita, così come un altro torinese, Carlo Levi, rivaleggia con Rocco Scotellaro nelle pagine più intense sulla lucanità .

Ai tempi della short list, prima della scelta di Matera, tra gli entourage dei primi cittadini delle città finaliste circolava una battuta: il sindaco del capoluogo designato avrà la rielezione in tasca. A Matera si è votato due settimane fa. Adduce, una carriera tutta all'interno del Pd, con un inizio come presidente delle coop lucane e poi due volte in parlamento, ha ottenuto il 40% dei voti. Alle sue spalle, con il 36%, Raffaello de Ruggieri, avvocato, tra i fondatori del centro culturale La Scaletta (il vero motore della riappropriazione dei Sassi) lamalfiano di ferro e presidente della Fondazione Zétema materana. Un uomo di cultura quasi ottantenne che in passato ha avuto vari incarichi politici (assessore regionale e comunale). Al terzo posto, con un sorprendente 13%, il presidente della Camera di Commercio Angelo Tortorelli, il tabaccaio, come lo chiamano affettuosamente i materani, con una campagna elettorale per nulla aulica al grido di “via i potentini da Matera”. De Ruggeri replica l'operazione di Berlusconi del '94. E mette insieme pezzi che altrimenti non avrebbero mai trovato una sintesi: Forza Italia, i socialisti e alcuni frammenti del Pd, tra cui il consigliere regionale Vincenzo Santochirico, inquisito per le spese pazze in Regione (“io sostengo De Ruggieri ma resto nel Pd”), l'ex sindaco di destra Emilio Nicola Buccico e soprattutto Angelo Tosto, il tycoon materano alla guida della tv locale Trm e proprietario di diversi call center, sconfitto da Adduce nelle comunali del 2010. Un rassemblement, per dirla in francese, che qualcuno ha ribattezzato l'Arca di Noè. Con rivalità tra Adduce e de Ruggieri che spesso e volentieri sconfinano nella puerilità. Le liste che sostengono il leader della coalizione sfidante organizzano le primarie, stravinte dall'avvocato ottantenne, passaggio al quale rifiuta di sottoporsi Adduce, costretto a un corpo a corpo contro gli stessi esponenti del suo partito per ottenere la ricandidatura. De Ruggieri dopo il primo turno stringe un'alleanza con Tortorelli, che in campagna elettorale aveva smentito l'ipotesi di apparentamenti con chicchessia.

Oltre la politica incombe la realtà. I problemi non mancano. Dai rifiuti (la raccolta differenziata è di là da venire e le discariche sono stracolme) alle infrastrutture (arcinota la tratta delle Appulo lucane per Bari con littorina alimentata a gasolio); per non parlare dell'economia, cronicamente in crisi dopo il disfacimento del polo dei salotti. Il cuore del dibattito è tutto incentrato sul dossier che ha consentito a Matera di aggiudicarsi il titolo. In palio di sono 400 milioni per le infrastrutture e 50 per gli eventi.

Si polemizza anche sul ruolo dei Beni culturali. Joseph Grima, direttore artistico italo-anglo-francese di Matera 2019, sostiene che il patrimonio storico-artistico abbia un valore relativo. Valgono le idee, il capitale umano, la comunità. Una visione che fa imbestialire de Ruggeri, componente del comitato scientifico di Matera 2019. All'indomani della vittoria l'avvocato si dimette. E sostiene di non aver mai neppure letto il dossier per la candidatura. A ruota lascia lo scranno in consiglio comunale il tycoon Tosto, che arruola per la campagna elettorale imminente, dicono i suoi detrattori, centinaia di dipendenti. È la dichiarazione di guerra. Adduce non le manda a dire: “Quello di de Ruggieri è un film in bianco e nero. L'anima nera della sua coalizione è Tosto”. L'avvocato ribatte: “La cultura non è consumo. E Matera 2019 non può essere un eventificio”. Paolo Verri è attonito: “Attaccano me e Grima perché non siamo materani. Ma il pluralismo e le differenze sono una ricchezza. Da quando abbiamo conquistato il titolo i turisti sono triplicati e i valori immobiliari cresciuti del 20 per cento. Cosa c'è da recriminare?“.

Invece si recrimina. E fioccano le allegorie sull'autolesionismo dei materani e la festa della Bruna, con il carro della patrona che alla fine della processione viene spolpato dai fedeli. È come se di colpo si fossero spente le mille luci di questo giardino di pietra. Sui Sassi è calato un sipario di malinconia. Vengono in mente le parole di Carlo Levi sui Luigini e i Contadini. Chi sono i Luigini, si chiede Levi? “Sono quelli che dipendono e comandano; e amano e odiano le gerarchie, e servono e imperano. Tra loro ci sono i politicanti, gli organizzatori di tutte le tendenze e qualità. Ce li metto tutti: comunisti, socialisti, democristiani, azionisti, liberali, neofascisti di destra e sinistra. I luigini sono la maggioranza. Hanno bisogno di un contadino per vivere, per succhiarlo e nutrirsene, e non possono permettere che la stirpe si assottigli troppo. I luigini hanno lo stato, la chiesa, i partiti, l'esercito, la giustizia, le parole. I contadini non hanno niente di tutto questo: non sanno neppure di esistere”.

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