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Se un rapporto «fotografa» l’inesistente

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indagine agcom sull’informazione internet

Se un rapporto «fotografa» l’inesistente

Il malato? Esaminato. La diagnosi? Fatta. Ma le soluzioni dei problemi e la strada da prendere? È l’ultimo miglio che manca. Si rimane sempre appesi alla stessa domanda quando si cercano risposte sul tema dell’informazione. E in fondo è quello che accade anche leggendo l’ultima indagine Agcom su “Informazione e Internet in Italia”. Un lavoro poderoso, con un mare di dati e cifre, che sarà presentato con tanto di convegno martedì a Roma.

Operazione ambiziosa non c’è dubbio, in un momento di dibattito anche sostenuto, solo per fare un esempio, sui possibili intrecci fra Google, Facebook e gli editori. Ma cosa c’è oltre l’uscio dell’attuale? Qual è la vera innovazione sulla quale puntare? Cosa ci possono insegnare le esperienze delle realtà editoriali estere? Da qui non si scappa.

Professione giornalistica, caratteristiche economiche dell’offerta, peculiarità della domanda d’informazione. I tre pilastri sui quali l’Authority ha costruito la sua indagine sono anche i tre elementi sui quali il presente-futuro dell’informazione sta impattando con maggiore virulenza. È interessante per esempio sapere che c’è un forte squilibrio fra domanda e offerta di contenuti informativi. Nuovi settori d’interesse restano scoperti, mentre quelli tradizionali vengono coperti (e addirittura oltre la domanda) nei mezzi tradizionali come sul web. Che la professione giornalistica sia cambiata poi non c’è da discutere. È un fatto.

Le caratteristiche economiche dell’offerta però rappresentano il cuore del problema. Qui basta solo seguire il susseguirsi dei titoli dei paragrafi. “Lo strutturale declino del prodotto cartaceo” (punto chiave), “la distribuzione e vendita di copie: l’ascesa del prodotto digitale” (ci siamo quasi), “l’offerta informativa dei quotidiani: vecchi e nuovi scenari” (forse ci siamo), gli “editori e i modelli di business” (Bingo). Si parte dall’analisi della redditività (al 2013 però), si fotografa l’esistente con il valore derivante da vendita di copie, pubblicità e “altro” sia per la carta sia per le copie digitali (e qui è interessante vedere come per il digitale la pubblicità valga il 69% del totale business contro il 29% di vendita copie).

Ma poi a pagina 130 arriva la sentenza. «Di fatto - si può leggere - per quanto gli editori abbiano compreso l’importanza di essere presenti sul mercato anche con un’offerta informativa digitale e stiano cercando di potenziarla, non è ancora chiaro quale sia il modello di business in grado di garantire ritorni economici adeguati».

Ecco ritornati indietro al punto di partenza, come in un gioco dell’oca. Un gioco perverso tanto più se si considera che anche nel confronto internazionale (alla figura 106) gli italiani appaiono anche più interessati dei cittadini di altri Paesi europei alle notizie. Il punto però è proprio questo: capire dove gli editori stanno andando e dove possono dirigersi. Esperienze di realtà in movimento non mancano. Gruppo 24 Ore, Rcs, Gruppo L’Espresso stanno spingendo sul digitale e per quanto riguarda Il Sole 24 Ore c’è l’esperienza pilota di 11 quotidiani digitali verticali “tailor made”, pensati per pubblici ad hoc. Perché non puntare alla riflessione su queste e altre esperienze empiriche - magari traendo maggior spunto da quel che accade oltreconfine - piuttosto che basarsi su numeri e dati alle volte resi anche poco attuali dalla velocità del cambiamento? La fotografia del problema è scattata. A quando la ricerca (e le indagini) su possibili soluzioni?

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