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Default non è Grexit

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Scenari

Default non è Grexit

Se c’è ancora chi pensa che cinque anni di negoziati sul debito greco siano troppi, farebbe bene a recuperare le agenzie di stampa della scorsa settimana. Nel pieno delle febbrili e infruttuose trattative tra Tsipras, Europa e creditori, infatti, è passata quasi inosservata una nota con cui il Club di Parigi annunciava la riapertura dei negoziati con l’Avana sul rimborso di 15 miliardi di euro dovuti da Cuba dopo il default del 1986.

La cifra era inizialmente molto più alta, ma Germania, Russia e Cina hanno sostanzialmente rinunciato a gran parte del dovuto - capitale e interessi - spianando così la strada all’intesa dell’8 giugno scorso: ora toccherà al Club di Parigi stabilire la tabella di marcia delle nuove trattative, le prime dalla rottura ufficiale dei negoziati nel 2001.

Morale: se per recuperare i 15 miliardi del default di Cuba non sono bastati 30 anni di negoziati, un eventuale default della Grecia renderebbe del tutto vana ogni speranza della Troika di recuperare i 240 miliardi di aiuti erogati finora per salvare Atene. E questo senza contare i devastanti effetti di lungo termine che un’eventuale uscita della Grecia dall’euro avrebbe sulla stabilità economica, finanziaria e politica europea.

Questo calcolo sembra spicciolo, ma sono proprio le considerazioni e gli interrogativi che apre a tenere in ostaggio il negoziato tra Atene e i suoi creditori: nessuno, da entrambi i lati, intende mettere la propria firma non solo sulla responsabilità di un default della Grecia, ma soprattutto sulla sua eventuale e prospettata uscita dall’euro per insolvenza. La Grecia lo sa, e per questo prende tempo. Pur avendo messo la doppia minaccia «default- grexit» sul tavolo del negoziato con la Grecia, la possibilità che il doppio evento catastrofico si verifichi per volontà dei creditori è quanto meno difficile: non solo perché un accordo-ponte sull’estensione degli aiuti sembra oggi il vero obiettivo delle parti, ma soprattutto perché nessuno sa esattamente che cosa accadrebbe dopo un’eventuale insolvenza della Grecia sul pagamento degli interessi che deve alla Bce, all’Fmi e all’Europa. Da un lato, non è chiaro chi dovrebbe dichiarare il default, visto che gli Stati sovrani non sono soggetti alle stesse regole sulle insolvenze che valgono per i privati. L’Fmi, per esempio, avrebbe mesi di tempo prima di dichiarare che la Grecia è in default, ma una tale procedura non è mai stata verificata o attuata: tutti i Paesi debitori hanno finora pagato il dovuto. Può farlo forse la Bce se Atene non paga gli interessi? È certamente possibile, ma la linea di Draghi non sembra questa: più volte il Governatore ha detto che il default di Atene non è una decisione finanziaria ma politica, facendo così intendere che tale responsabilità ricade su Bruxelles e sulle cancellerie europee. A tale proposito, è bene tenere presente che anche in caso di default sui prestiti delle istituzioni internazionali, lo stato di insolvenza riguarderebbe solo il governo greco e non le banche nazionali: se gli istituti trovassero infatti autonomamente il modo di finanziarsi, potrebbero anche continuare ad operare. Lo scenario sarebbe complesso, ma non inconcepibile.

Ma a rendere ancora più interessante la vicenda greca è l’ipotesi Grexit: anche in caso di un default, non c’è Trattato, norma o regola europea che imponga l’uscita di un Paese dall’eurozona a seguito di un’insolvenza. Finora si è pensato che il vero rebus della crisi del debito fossero le procedure di un’uscita volontaria di uno Stato dal club della moneta unica, ma con la Grecia il problema è diventato persino più complesso: se Atene, come Tsipras ha dichiarato più volte, non intende abbandonare l’eurozona, a chi spetta allora la responsabilità di una tale decisione? Forse alla Commissione? Al Parlamento? Oppure alla Bce? Certamento non alla Merkel o a Hollande, ma in realtà nessuno sa dare una risposta a questa domanda. L’impressione, insomma, è che dietro al protrarsi del negoziato ci sia una sorta di stallo non solo sul merito di un accordo che vada bene per tutti, ma anche sulle procedure da seguire nel caso di un fallimento delle trattative.

Sorge quindi un dubbio: la strategia delle minacce è davvero la migliore con Atene, o sono forse proprio le minacce inattuabili a dare forza a Tsipras? La Grecia è certamente responsabile del proprio dissesto finanziario e le riforme che gli vengono chieste sono il giusto prezzo per gli aiuti. E l’Europa, da parte sua, ha il diritto e il dovere di spuntare nel negoziato impegni credibili e sostenibili. Ma con le minacce apocalittiche e persino inattuabili come Grexit, si è fatto un doppio danno: invece della Grecia, hanno spaventato solo il mercato.

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