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Quelle «bionde», bancomat delle mafie

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Quelle «bionde», bancomat delle mafie

Ad andare in fumo sono solo i guadagni dei disperati, degli schiavi in coda alla catena del contrabbando di sigarette, che corre sul filo degli ordini via Internet e dei moderni schiavisti, i «broker» internazionali. Sfumano solo i sogni di quelli che vendono il pacchetto ai semafori di Napoli a 2,50 euro e lo comprano dalle “famiglie” a 2,20 e di quelli che devono pagare il posto fisso al clan a 50 euro a settimana per sostare in strada o sui marciapiedi, come pedoni sulla scacchiera del fumo illecito. Sfumano le speranze di quelli che ricevono a casa i tabagisti squattrinati o li raggiungono porta a porta e di quelli che, al Rione Traiano come a Pozzuoli, se va bene incassano 15 euro al giorno che servono per mettere il pranzo a tavola e per la cena San Gennaro provvede. Talvolta nemmeno quelli: intascano miseri acconti dei tabagisti incalliti e il resto quando si può.

I broker del contrabbando. Le famiglie mafiose campane, pugliesi e le organizzazioni criminali dell’Est e della Cina, invece ci guadagnano e molto, anche se la catena è lunga. Ad agire sono sempre più i broker: famiglie italiane e straniere puntano una cifra e “scommettono” sul carico, giungendo a “quotare” le responsabilità nella catena di trasporto a destinazione della merce, in modo da incassare il proprio guadagno quando le colpe degli eventuali sequestri ricadono sugli altri, che lo perdono. Quando tutto fila liscio ognuno guadagna in proporzione alla quota versata.

Il tabacco lavorato estero viene acquistato alla fonte tra i 30 e 50 centesimi a pacchetto, poi passa dall’Ucraina e transita per la Polonia dove il ricarico per i “compari” locali è di altri 50 centesimi e da quel momento il resto è guadagno secco di almeno 1,50 euro, ai quali si aggiungono quelli per il permesso ai disperati di vendere. È solo un esempio fatto su una rotta oggi battutissima (le altre sono dal Nord Africa, dalla Cina e dai Paesi arabi) ma anche la Gdf – che solo in Campania, come illustrano i comandanti Giovanni Salerno, Alessandro Langella e Giuseppe Furciniti, nei primi cinque mesi del 2015 ha sequestrato 40 tonnellate di bionde che equivalgono a 7 milioni sottratti alle casse erariali – ha fatto i suoi calcoli, che non si allontanano di molto. Il prezzo all’ingrosso stimato dalla Gdf è di 100mila euro per 10 tonnellate, con un guadagno netto per la catena di vendita del fumo di contrabbando compreso tra 400mila e 900mila euro.

Gli schiavi alla catena. È alla fine che la catena diventa disperazione. A Casavatore il Sole-24 Ore ha incontrato, dopo uno slalom tra i paletti del mercato del sesso e della droga a cielo aperto, uno schiavo del contrabbando, non per vocazione ma per fame. Cinquantasette anni, malato, da cinque anni disoccupato, quattro mesi di affitto di casa arretrato, luce pagata a rate e acqua gratis come tutti o quasi in quella zona, ogni settimana prende il bus, va a Napoli, compra a 26 euro a stecca, ritorna a casa e rivende a 3 euro a pacchetto. Acquista sempre meno di 10 kg per non incorrere nell’arresto ma, al massimo, in una sanzione amministrativa che non pagherà mai. Ex operaio specializzato nella rigenerazione dei forni industriali, ai bei tempi 1.400 euro al mese di stipendio, dice di averle provate tutte per rientrare nel mondo del lavoro ma niente da fare, neppure con quell’Ape car scassata con la quale voleva vendere ortofrutta senza licenza.

E allora, con un figlio minorenne che alle 11.30 ancora dorme invece di faticà, perché lavoro non ce n’è, vende le “bionde” per mettere insieme il pranzo con la cena. Anche lui fuma le schifezze che vende, contraffate chissà dove e chissà da chi o spedite da Est Europa, Medio Oriente e Cina (le cosiddette cheap white) dove gli standard di sicurezza per la salute sono ridicoli.

Anche la moglie, negli anni Ottanta, quando gli scafi blu solcavano il mare e spianavano la strada a nuovi nababbi, contrabbandava ma, quando andava male, portava a casa 100mila lire al giorno. Lui no: il giorno in cui l’abbiamo incontrato, nel quale pioveva che Dio la mandava, aveva incassato un euro.

Un mondo nuovo. Tutto è cambiato: i banchetti in mezzo ai marciapiedi o nei mercati sono spariti e l’esercito dei disperati nella provincia di Napoli si gonfia ogni giorno di disoccupati, persone che hanno perso il lavoro e pensionati. I nuovi schiavi dell’emarginazione sociale. Nessuno sa quanti sono ma sono migliaia: a Soccavo, viale Adriano, Fuorigrotta, Pianura, Quarto Pozzuolo, Monteruscello, Licola, Lago di Patria, tutto il litorale, Mondragone, Varcaturo e via di questo passo fino alla provincia casertana.

Inquirenti e investigatori ce la mettono tutta per far capire che il contrabbando non è più un’emergenza a Trieste, Milano, Napoli, Palermo e Bari ma una catena criminale che spiana la strada a profitti immensi che corrono spesso paralleli alle vie della contraffazione e del traffico di droga e che si trasformano in bancomat per il riciclaggio. La proiezione a fine anno di British american tobacco (Bat) Italia è del contrabbando al 7,7% del consumo globale (nel 2014 di 74,35 miliardi di sigarette legali oltre ai 4,42 illegali), che tradotto in soldoni vuol dire 1 miliardo di mancato gettito per le casse erariali tra accise, Iva e dazi e 350/400 milioni per la filiera legale del tabacco lavorato, che fattura quasi 19 miliardi. Più del 2014, anno in cui il mancato incasso per lo Stato fu di 770 milioni.

L’autogol degli aumenti. La crisi economica che colpisce le famiglie italiane aumenta il ricorso al fumo illecito ed è per questo che Bat, attraverso le riflessioni affidate al Sole-24 Ore dal vicepresidente Giovanni Carucci, inorridisce all’idea che il legislatore italiano possa alzare ancora le accise, dopo averlo già fatto dal 16 gennaio di quest’anno. Un autogol che viene visto come tale anche da Cesare Sirignano, sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, che punta il dito contro la sottovalutazione dello Stato e dell’opinione pubblica, la disinformazione e la mancanza di cooperazione fuori dalla Ue, senza la quale ogni battaglia resta solo sulla carta. «In Ucraina, Polonia e Cina – afferma Sirignano– la corruzione nella pubblica amministrazione è elevatissima. La Cina si rifiuta di collaborare. Dopo due anni di indagini, la Dda di Napoli aveva individuato con certezza 4 fabbriche dove si producevano contemporaneamente sigarette e scarpe Hogan contraffatte. Non c’è stato verso di ottenere le perquisizioni dalle autorità giudiziarie locali.

Non hanno cambiato idea neppure quando siamo andati a Shangai per convincerli. In Polonia sono emigrati membri di storiche famiglie di contrabbandieri napoletani che hanno messo su famiglia per integrarsi meglio ed entrare più facilmente nei meccanismi corruttivi. Senza cooperazione è una battaglia persa perché per le organizzazioni criminali e mafiose il guadagno è talmente alto che anche il sequestro di due container, con una perdita secca di almeno 300 mila euro, è una bazzecola».

La cooperazione è una chimera. L’Italia è indietro, molto indietro, non solo nel pressing cooperativo internazionale ma anche nell’inasprimento delle pene in caso di recidiva specifica, che viene perorato anche dal professor Enrico Maria Ambrosetti, presidente dell’Osservatorio sulla lotta al contrabbando, il quale non dimentica di dire che anche la tracciabilità del prodotto, dalla fonte al consumatore, è purtroppo una chimera. Quanto alla repressione, più di così, con questi strumenti, è impossibile. Fiamme Gialle a parte, che si dedicano con Gico e reparti di pronto intervento anima e corpo alla missione, anche le Dogane fanno il massimo; nel 2014 hanno sequestrato in Italia 1.451,8 kg di bionde di contrabbando, vale a dire oltre 3,3 milioni di pacchetti.

In testa il compartimento Campania e Calabria. E come ti sbagli.