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«Basta Auditel, la Rai torni ai contenuti»

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Scenari

«Basta Auditel, la Rai torni ai contenuti»

«Ci vuole passione. Serve gente appassionata». Renzo Arbore lo ripete più e più volte durante il suo colloquio con Il Sole 24 Ore: «Per fare la tv ci vuole gente appassionata di tv. Una passione che non dovrebbe mancare neanche a chi guiderà la Rai del futuro».

Sono giorni di celebrazione per questo artista di 78 anni (li compirà domani, giorno in cui sarà a Mosca per un concerto con la sua Orchestra Italiana) che un posto, nella storia della tv italiana se l’è ritagliato. A metà giugno di 30 anni fa veniva trasmessa l’ultima puntata di «Quelli della notte». In tanti lo stanno ricordando in questi giorni. E nello stesso ricordo di Arbore si percepisce un trasporto non comune per la televisione di allora («che mi piacerebbe trovasse spazio anche nella tv del futuro»), ma anche per la Rai, «azienda che non ho mai tradito. A ottobre festeggerò 50 anni di Rai. In cui sono entrato per concorso, con compagno di banco Boncompagni Giandomenico (ride, ndr)».

Ci tiene a sottolinearlo Renzo Arbore: lui dalla Rai non se ne è mai andato.

Questioni di compenso? «Per carità. Devo tanto alla Rai. Volevo la mia libertà di artista che la Rai non ha mai mancato di garantirmi. E comunque, non ho mai pensato di tradirla».

Come in un vero amore. Ma dalla Rai le hanno telefonato per ricordare i 30 anni di «Quelli della notte»?
Mi sono arrivate solo due telefonate.

Possiamo fare i nomi?
Meglio di no. In Rai ho conosciuto e conosco tanta gente. E ho lavorato con tanti direttori. Qualcuno è stato più gentile. Altri meno. Ma non è questo il punto. Quando affronto il tema della Rai non lo faccio pro domo mea. Lo faccio perché credo che il futuro della tv in Italia non sia scindibile da quello della Rai. E sa a cosa penso?

Mi dica...
Penso che in Italia avevamo la migliore televisione al mondo, con una Rai capace realmente di essere espressione di professionalità e gusto artigiano che diventavano poi prodotto industriale di altissima qualità. Penso ai grandi registi come Antonello Falqui, Enzo Trapani.

E ora?
Vedo una Rai che assomiglia sempre di più a un distributore di prodotti. E questo è un peccato. Ai bei tempi le fiction erano fatte da grandi artisti. C’era un intrattenimento intelligente che era un autentico punto di forza e che anche oggi rappresenta una memoria fondamentale. Le risate vere in tv le si fanno ancora con Sandra e Raimondo. Era una tv di qualità. E il successo di programmi come «Techetechetè» (frammenti video che vengono mandati nel periodo estivo, ndr) lo
dimostrano.

Beh, erano altri tempi. C’era una fruizione diversa del mezzo televisivo. Oggi ci sono Internet, Netflix, il video on demand...
E qui entra la missione che per la Rai si fa importantissima: far sì che il servizio pubblico riesca a indicare la via per la tv nell’epoca del web. La Rai ha un tesoro inestimabile: i contenuti. Un tempo erano esemplari. Era una tv che arricchiva, divertiva informando. Ora non è più made in Italy. Ora è solo schiavitù dell’Auditel iniziata eliminando, penso con dolo, l’indice di gradimento. Detto questo, ho apprezzato quanto ha detto l’altra sera il premier Renzi a «Porta a Porta». Ha fatto capire che non è giusto correre dietro ai numeri dell’Auditel. Ebbene, spero che sia conseguente e che per quel che può dalle parole passi ai fatti. I dirigenti di oggi subiscono i numeri. E invece i numeri vanno dominati e conquistati.

Certo è che in tempi di crisi come quelli attuali non si può non pensare che gli amministratori della Rai non si confrontino con la necessità di un equilibrio economico.
È indubbio. Però attenzione: per il servizio pubblico esiste la necessità di tenere i conti sotto controllo, ma anche quella di stimolare la creatività. Occorre tornare a una tv di contenuti. Ormai a farla da padrone sono i format stranieri che arrivano da Paesi che hanno ideato programmi accettabili, ma non all’altezza delle nostre produzioni passate.

Forse non ci sono in giro autori e registi all’altezza di quelli di un tempo?
Non sono d’accordo. Bisogna scavare un po’, ma è necessario tornare a cercare talenti. E comunque, ritorno al discorso di partenza: per far sì che questo accada bisogna pensare con attenzione a chi dovrà guidare l'azienda in futuro. E servono persone che sappiano di tv, appassionate di tv. Non solo di come far quadrare i conti.

Abbiamo parlato tanto finora della tv di qualità. Ma perché lei non ha mai dato seguito alle sue trasmissioni? Quelli della Notte, Processo a Sanremo, solo per fare qualche esempio, si sono fermati alla prima edizione.
Ho fatto 14 format televisivi e 3 radiofonici. Ho sempre pensato alla mia come tv di autore. Trasmissioni come film, al cinema. Per questo non
replicavo.

A ogni modo, sembra di capire che lei non si riconosce proprio in questa Rai.
Onestamente no. Io ho iniziato quando alla radio c’era Leone Piccioni, con Ettore Bernabei alla tv. Ho visto cambiare direttori su direttori. Venivano messi lì dalla politica e molti parlavano della tv senza averne conoscenza. Certo ci sono anche le
eccezioni.

Chi per esempio?
Penso a Biagio Agnes o a Sergio Zavoli. Ma anche a Letizia Moratti come a Flavio Cattaneo. Anche Agostino Saccà conosceva il prodotto.

E oggi chi vedrebbe bene?
Per carità, non mi faccia fare nomi. Però vorrei confessarle una cosa.

Prego.
Spesso quando ci troviamo a parlare con altri del mondo dello spettacolo, tutti noi pensiamo a un “magari”. E così diciamo, a sua insaputa ci tengo a precisarlo, “magari” Walter Veltroni come presidente accanto al direttore generale o nuovo ad. Conosce il mezzo, il cinema, gli artisti. Il padre la tv in Rai l’ha praticamente inventata. Magari.

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