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La bellezza tormentata di Laura Antonelli

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Scenari

La bellezza tormentata di Laura Antonelli

Un viso da bambina su un corpo di donna: questa contraddizione era il segreto del fascino di Laura Antonelli che se n’è andata definitivamente ieri a 73 anni, molti anni dopo avere lasciato il palcoscenico. Quella patina di dolce smarrimento che restava sul suo viso anche quando recitava le parti più piccanti era più eccitante delle sequenze sadomasochiste di Corinne Clery nella celebre «Histoire d’O». La parte che incarnava era quella della preda, ma una preda tacitamente consenziente. Un’immagine estremamente tradizionale in quegli anni in cui il ruolo femminile veniva rimesso radicalmente in discussione. Le femministe si ribellavano radiando i reggipetti e la depilazione delle gambe. La Antonelli faceva delle giarrettiere il suo emblema. La biancheria, preferibilmente nera, in contrasto con il candore della carnagione, eco del candore dell’attrice, era quella dell’erotismo tradizionale. Dalla guepière alla sottoveste, tutto sembrava fatto per essere tolto con voluttuosa lentezza.

Nella locandina del «Merlo maschio» di Pasquale Festa Campanile, si vede il suo partner cinematografico, Lando Buzzanca, intento a suonare con l’archetto da violino il corpo nudo di Laura. Era un omaggio a una celebre fotografia di Man Ray, ma era anche l’immagine di una femminilità arresa, che si lascia “suonare” dal maschio. Anche nei momenti più trasgressivi, lo sguardo dei grandi occhi grigi sembrava quello di una martire sensuale. La suora svedese, da lei interpretata in «Sessomatto» di Dino Risi, con le cosce scoperte e le gambe sollevate dalle mani non aveva niente di iconoclasta. In realtà Laura Antonelli come parecchie grandi attrici, più che un’interprete era un personaggio che emergeva costantemente dalle sceneggiature più diverse, da «L’innocente» di Luchino Visconti a «Viuuuulentemente... mia» dei Vanzina. In un turbolento momento di transizione dei costumi italiani incarnava la rassicurante immagine di una continuità segreta tra la donna del passato e quella del presente.

Nella vita privata sembrava fatalmente portata verso gli uomini meno adatti. Consapevole del suo fascino, era estremamente trasgressiva. Si divertiva a ricevere nuda sotto una vestaglia trasparente. «Dalla sua avvenenza mi sentivo mancare perfino io, che sono madre. Era un cocktail micidiale di sensualità e sessualità», ricorda la sua agente Patrizia Brandimarte. Con Jean-Paul Belmondo era stata lei a prendere l’iniziativa sussurrandogli in un orecchio il suo desiderio di andare a letto con lui.

Il pubblico è riottoso ad ammettere il carattere effimero delle bellezze più amate. Come altre sue colleghe Laura Antonelli aveva preferito ritrarsi dalla scena e si era rifugiata in una vita appartata. Purtroppo quella malinconica quiete era stata insidiata da un’immeritata accusa di spaccio di cocaina che l’aveva portata in tribunale e in carcere, facendola molto soffrire. Il logoramento di quelle vicende l’aveva costretta più volte a ricoverarsi nel Centro di igiene mentale di Civitavecchia. Aveva tentato di arginare i danni del tempo con la chirurgia, per girare con Salvatore Samperi il seguito del suo film simbolo, «Malizia», ma ne era uscita deturpata. Era tornata la povertà che aveva conosciuto da piccola come profuga istriana. Lei che chiudeva le telefonate con un saluto ecumenico, «Cristo sia con te», si era concentrata ossessivamente su due temi: la religione e l’erotismo di Jean-Paul Belmondo. Chi cercava di avvicinarla mentre passeggiava con un crocefisso tra le mani per le vie di Cerveteri, dove si era rifugiata, si sentiva rispondere: «Non cercatemi, dimenticatevi di me, non esiste più Laura Antonelli!».

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