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Schiarita, ma non è la parola fine

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Scenari

Schiarita, ma non è la parola fine

Finiti sull'orlo del precipizio Grexit, sotto la spinta dell'incomunicabilità più totale, i protagonisti del potenziale disastro annunciato ora forse troveranno la forza e la lungimiranza per fare un passo indietro. È già successo nel 2011, anche se la subitanea retromarcia allora lasciò sul campo morti e feriti, provocò un effetto domino che solo dopo mesi la Bce di Mario Draghi riuscì a riportare sotto controllo. Dopo due settimane di stallo, finalmente ieri le trattative si sono sbloccate. Non è arrivato invece l'accordo politico che molti speravano avrebbe suggellato la convocazione di un vertice europeo straordinario a Bruxelles, a ridosso di quello ordinario in calendario per giovedì e venerdì prossimi.

Niente accordo ma frasi incoraggianti: «Ci arriveremo entro fine settimana ma il percorso sarà lungo e difficile» ha detto il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker. «Un passo nella giusta direzione, la proposta greca è solida e complessiva» secondo il presidente dell'Eurogruppo. Di sorprendente nella raffica di riunioni sul caso Grecia che si sono susseguite ieri, presenti Draghi e il direttore dell'Fmi Christine Lagarde, non c'è tanto la mancata intesa quanto l'assenza apparente, per ora, di basi certe e certificate per raggiungerla. Un'atmosfera gravida di aspettative alla fine è sfociata infatti nel surreale: prima, domenica sera, l'atteso piano di riforme del ministro delle Finanze Yannis Varoufakis, l'ennesimo bluff, poi ieri mattina il nuovo testo siglato dal premier Alexis Tsipras, quello su cui lavorare. Prima in mattinata, il grande ottimismo della Commissione Ue.

«Siamo molto, molto vicino a un'intesa, su alcuni punti la proposta è anche più ambiziosa di quanto pensassimo» ma dopo la doccia gelata del tedesco Wolfgang Schäuble: «Non abbiamo ricevuto alcuna proposta concreta, non vedo come potremmo fare progressi senza». Quindi il prevedibile ed ennesimo fallimento dell'Eurogruppo per mancanza (?) del tempo materiale per sviscerare la proposta greca. Fallimento soffuso però di speranze nuove. A seguire il vertice dei capi di governo dell'Eurozona, cioè il contentino politico invocato e concesso a Tsipras, poi conclusosi con un'altra raffica di buoni auspici e propositi. Dopo tante false partenze in questi cinque mesi di passione, davvero siamo al capolinea? Di sicuro Tsipras questa volta ha presentato riforme concrete: incremento dell'Iva e, con cautela, pensioni , da finanziare aumentando le tasse sui redditi oltre i 30mila euro all'anno e sui profitti societari sopra i 500mila. Senza tagli di spesa, nulla sul mercato del lavoro, niente rincari Iva sull'energia, come preteso dai creditori.
Nell'insieme segnali veri di disponibilità sia pur limitati, nel tentativo di contraddire al minimo le promesse elettorali di guerra all'austerità senza rimetterci gli aiuti europei di cui la Grecia ha disperato bisogno. Una partita spericolata che prevede di ottenere anche, contestualmente, l'alleggerimento del debito ritenuto insostenibile.
Finora il teorema Tsipras non ha convinto ma solo irritato Eurogruppo, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale, decisi a non stravolgere le condizioni fissate per l'erogazione dell'ultima tranche di aiuti da 7,2 miliardi di euro. Per principio e per non dare cattivi esempi. Ora il premier greco ha fatto concessioni, quasi certamente ancora insufficienti, ma il suo gesto, magari con qualche ritocco, può offrire a tutti l'alibi per salvare la faccia, recuperare razionalità negoziale e chiudere un braccio di ferro troppo pericoloso. Un salto collettivo nel buio.
Se alla fine sarà accordo e non default della Grecia, nessuno si illude che sarà la panacea e la fine di un incubo. Il problema ellenico resterà per anni la malattia cronica dell'Eurozona: però meglio imparare presto a conviverci piuttosto che tentare di liberarsene con un'amputazione che rischierebbe di uccidere, con la malattia, anche il malato.

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