Commenti

Perché l’Fmi insiste nella linea dura

  • Abbonati
  • Accedi
IL COMMENTO

Perché l’Fmi insiste nella linea dura

Due dei tre grandi creditori della Grecia, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale, sono in una posizione scomodissima.La Bce perché costretta a pompare liquidità nelle banche greche per evitare di staccare la spina ad Atene, di fatto trasformandosi nel finanziatore della continua fuga dai depositi.

Il Fondo monetario perché è il primo a trovarsi sulla linea di fuoco se la Grecia dovesse smettere di pagare i propri debiti. Entro il 30 giugno, infatti, Atene dovrebbe rimborsare all’Fmi 1,6 miliardi di euro: è la somma di tutti i pagamenti di giugno che, in virtù di una oscura regola dell’istituzione di Washington, il Governo greco ha raggruppato a fine mese del tutto legalmente. Così come aveva fatto fronte all’ultimo pagamento, il mese scorso, mettendo le mani nelle riserve che la Grecia stessa detiene presso il Fondo e che prima o poi dovranno essere reintegrate. Il mancato pagamento di fine giugno collocherebbe la Grecia nella scomoda compagnia di Somalia, Sudan e Zimbabwe, fra i Paesi in arretrato con l’Fmi, anche se la procedura per metterla in mora richiederà ancora qualche settimana.

Il primo ministro greco Alexis Tsipras ha accusato il Fondo monetario di «saccheggiare» le casse del suo Paese, ma, come ricorda Benn Steil, del Council for Foreign Relations, l’Fmi ha applicato ad Atene una condizionalità eccezionalmente favorevole, considerate le dimensioni dei prestiti, che sono andate bel al di là dei tetti abituali fissati dall’istituzione guidata da Christine Lagarde.

L’Fmi si trova così con il suo principale debitore (la Grecia dovrà rimborsare 23 miliardi di euro entro il 2030) sull’orlo del default, un fatto senza precedenti per un Paese considerato nel novero delle economie avanzate.

Il suo coinvolgimento nella vicenda greca è stato a dir poco controverso: nel 2010, molti europei, in testa il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, ritenevano che il Fondo andasse tenuto fuori. La sua partecipazione avrebbe certificato il fatto che l’Eurozona non sapeva cavarsela da sola. Venne invece tirato dentro, soprattutto per insistenza della Germania, scettica sulle capacità della Commissione europea di analizzare la situazione. Ma l’argomento decisivo fu che, da soli, gli europei non avevano, o non volevano impegnare, i soldi necessari per il primo bailout della Grecia. Il direttore di allora dell’Fmi, Dominique Strauss-Kahn, vedeva a sua volta con favore la prospettiva di un ruolo da protagonista nel salvataggio dell’Eurozona, con un occhio alle proprie chances presidenziali.

Difficile dire cosa sarebbe stato del caso Grecia senza la drammatica uscita di scena di Dsk nel 2011, ma, di fatto, l’Fmi resta invischiato in una vicenda nella quale ha recitato sempre una parte subalterna, accettando anche soluzioni che andavano contro alla propria esperienza di decine di casi di Paesi debitori, e mettendoci del suo con l’avallo a una serie di previsioni sbagliate sugli effetti dell’austerità imposta ad Atene sulla crescita e quindi sul debito. Una circostanza che la settimana scorsa è stata ammessa dal capo economista dell’Fmi, Olivier Blanchard. Il quale però ha ricordato anche un’altra cosa: un ammorbidimento degli obiettivi di surplus primario di bilancio ormai «irrealizzabili» (il 3% per il 2015 dovrà diventare l’1) comporta una copertura attraverso il riscadenziamento su lunghissimo termine del debito. Il Fondo infatti, il cui programma con Atene scade nel marzo 2016 deve assicurarsi che il debitore copra tutto il fabbisogno di finanziamento per la durata del programma stesso. E con un surplus primario ridotto, questo può venire solo da un allungamento delle scadenze del debito o, a più lungo termine, ricorda Blanchard, con un haircut, che a questo punto dovrebbe essere sopportato dagli europei.

Ma nel 2016 scade anche il mandato di Christine Lagarde alla direzione e questo rende la posizione dell’Fmi scomoda anche sul fronte interno: i Paesi emergenti, che hanno contestato fin dall’inizio nel consiglio del Fondo i prestiti alla Grecia e le loro condizioni, restano una spina nel fianco del vertice dell’istituzione e sono pronti a dare battaglia sui termini del possibile accordo che si discute in queste ore. E ancor più sul possibile coinvolgimento dell’Fmi in un terzo pacchetto di aiuti ad Atene. Non certo un incentivo per la signora Lagarde a tenere una linea morbida nella stretta finale su Atene.

© Riproduzione riservata