Dopo che lo scorso dicembre il premier Matteo Renzi aveva lanciato ufficialmente la candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2024, il Consiglio comunale l’ha adesso ratificata con una mozione che peraltro non è stata approvata all’unanimità.
Non sono cadute le riserve espresse dal Movimento Cinque Stelle e da alcuni esponenti dell’opposizione per l’inopportunità di una candidatura nel pieno del clamoroso scandalo di Mafia Capitale e viste le dure critiche verso l’operato personale del sindaco Ignazio Marino. Non sono valsi a far recedere il no gli appelli, per un “sì” in toto, del presidente del Comitato promotore di Roma 2024 Luca Cordero di Montezemolo e dei dirigenti del Coni.
Affinché la candidatura olimpica dell’Urbe possa affrontare con probabilità di successo il giudizio del Comitato olimpico internazionale, tanto più in quanto essa risulta in concorrenza con quella da Parigi, occorre infatti che essa venga sostenuta, fin d’ora, da robuste credenziali, consistenti non solo in concrete garanzie finanziarie a livello nazionale, ma anche in una larga convergenza di intenti e di impegni programmatici nell’ambito dell’amministrazione civica. È quindi il caso di ricordare come entrambe le circostanze sopra richiamate ebbero un ruolo determinante nella decisione presa nel giugno 1955 dal Ciò di assegnare a Roma (in ballottaggio sino all’ultimo con Losanna e Detroit) l’allestimento per il 1960 della XVII Olimpiade.
Si era in quel periodo nel mezzo del “miracolo economico” ma anche in una fase politica tormentata di transizione dal centrismo al centro-sinistra.
Nel 1959 era stato attribuito alla lira l’Oscar della moneta più stabile dell’Occidente, mentre per la prima volta, dal dopoguerra, il bilancio pubblico aveva registrato un avanzo. «Di anno in anno migliora il tenore di vita dei cittadini e ci lamentiamo di cose che neppure ci sognavamo tredici anni fa», aveva commentato il 2 giugno 1959 Nicola Adelfi su “La Stampa”. D’altronde, allorché nel luglio 1960 il timone della Banca d’Italia passò dalle mani di Donato Menichella a quelle di Guido Carli, esisteva un’ingente liquidità per una politica economica sostanzialmente espansiva in concomitanza con un alto saggio di sviluppo del sistema industriale. Tant’è che Italo Calvino avrebbe poi definito quella stagione “una belle époque inattesa”, quasi si trattasse di una manna caduta dal cielo.
Fortunatamente, quando vennero inaugurati il 25 agosto i Giochi olimpici, s’era concluso, da poco più d’un mese, con la formazione del terzo ministero presieduto da Amintore Fanfani, il drammatico capitolo del governo Tambroni, durante il quale s’erano contati una decina di morti e un centinaio di feriti fra i dimostranti scontratisi con la polizia in varie manifestazioni antifasciste di protesta per l’autorizzazione concessa al Movimento sociale italiano di tenere il suo congresso a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza. Il capo dello Stato Giovanni Gronchi aveva potuto così dare il via, in una situazione tornata alla normalità, alla cerimonia di apertura delle competizioni sportive, a cui partecipavano più di 5.300 atleti in rappresentanza di 84 nazioni. Fin dalle prime gare i colori italiani ebbero modo di brillare: in particolare, per la prestigiosa vittoria, nei 200 metri piani, riportata da Livio Berruti, il primo europeo nella storia delle Olimpiadi a spezzare il predominio in questa specialità dei nordamericani. E, con oltre 12 medaglie d’oro, l’Italia conquistò più allori di quanti ne avesse mai ottenuti in alcuna delle precedenti edizioni, al punto da figurare in complesso al terzo posto nella classifica finale, dietro due “giganti” come l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti. Furono certamente notevoli gli oneri che comportò l’organizzazione di quei Giochi olimpici conclusisi l’11 settembre. La spesa più consistente riguardò la costruzione, intrapresa nel 1958 nel comprensorio di Campo Parioli, nei pressi dello stadio Flaminio, del Villaggio Olimpico, destinato ad alloggiare con i vari servizi gli atleti delle diverse squadre. Tuttavia, si trattò di un quartiere residenziale concepito in base a un progetto organico che coniugava criteri funzionali e criteri estetici. Inoltre, alla realizzazione di questa e di altre opere rimaste poi in dotazione alla capitale (dal Muro Torto all’Olimpica, all’Aeroporto di Fiumicino) collaborarono alcuni importanti architetti di quell’epoca (fra cui Adalberto Libera, Luigi Moretti e Pier Luigi Nervi).
La televisione (con la Rai, che coprì l’intero programma di gare, e l’americana Cbs, che trasmise numerose competizioni e altri eventi), fornì per due settimane agli spettatori di numerosi paesi anche un ampio repertorio di immagini attraenti sulle bellezze artistiche e monumentali di Roma. E ciò concorse ad accrescere l’afflusso turistico nell’Urbe e le poste attive della nostra bilancia dei pagamenti.
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