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L’inevitabile «Piano B»

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L’ANALISI

L’inevitabile «Piano B»

La banca centrale europea (Bce) sta operando come prestatore di ultima istanza della Grecia, nell’ipotesi che la situazione torni presto normale. Ma questa ipotesi non è realistica: la situazione straordinaria, cioè la probabilità che la Grecia metta in atto un default, anche parziale, è destinata a continuare. Allora, per contribuire affinché questo non accada, ed anche per essere pronta a rispondere alle critiche dei falchi, la Bce deve avere un Piano B.

Il Piano B deve avere due caratteristiche: utilizzo dei fondi europei per la stabilità finanziaria ed «europeizzazione» delle banche greche, spezzando ogni legame con il debito pubblico.

Anche oggi a Bruxelles si continua a lavorare per trovare un accordo sul caso Grecia, e scongiurare il rischio di un default, anche parziale, dei suoi titoli sovrani. Però, anche se gli sforzi negoziali verranno coronati da successo, il risultato non potrà essere considerato definitivo. Le caratteristiche strutturali della situazione – alto debito pubblico, bassa produttività economica, alta inefficienza infrastrutture pubbliche, alta instabilità politica – fanno escludere che la situazione straordinaria – cioè che la probabilità di default sia positiva – sia temporanea. È questo punto – la non temporaneità della situazione greca – che potrebbe rappresentare il tallone d'Achille della azione monetaria che Mario Draghi sta conducendo per far quadrare un cerchio: gestire la crisi greca senza violare le regole europee.

Che esista un tallone d'Achille lo ha mostrato con evidenza il presidente della Bundesbank Jens Weidmann, ricordando a tutti – ed ha fatto bene - quali sono i principi che una banca centrale deve seguire, nel momento in cui deve decidere se erogare o meno finanziamenti ad una banca. I principi tradizionali– o regola di Bagehot – sono essenzialmente tre.

Innanzitutto la banca deve essere illiquida, non insolvente, cioè deve avere degli asset solidi, in modo da evitare che venga stampata moneta pubblica per tutelare interessi privati, cioè evitare di utilizzare denaro di tutti i contribuenti per salvare imprese o imprenditori specifici. Finora questo principio è stato applicato dalla Bce, assumendo che i titoli sovrani della Grecia siano solvibili, finché non ci sarà un default.

In secondo luogo il finanziamento pubblico deve essere erogato a condizioni penalizzanti, ovverossia lo sconto applicato al valore degli asset in garanzia e/o il tasso di interesse applicato non devono essere di favore. Occorre evitare che condizioni lasche incentivino comportamenti devianti nei banchieri, nelle banche centrali e nei politici. Questo principio tradizionale è stato in realtà esplicitamente messo in soffitta durante la Crisi Finanziaria iniziata nel 2008, anche alla luce della dolorosa esperienza fatta negli anni '30. Quando ad essere in difficoltà non è una singola banca, ma rischia di esserlo l'intero sistema bancario, le condizioni di credito non possono essere penalizzanti, altrimenti si rischia di peggiorare la crisi. In questi casi, si decide di scambiare la tranquillità dell'oggi, con un rischio di maggior instabilità domani. È questo il comportamento che la Bce ha adottato, e può farlo, in quanto è coerente con l’obiettivo primario di tutelare la stabilità monetaria dell’euro, e gli eventuali effetti sulla propensione al rischio possono essere ritenuti solo collaterali e prospettici. In questo senso si espressa anche la Corte Europea di Giustizia. L'azione della Bce è legittima, ancorché non priva di rischi, e perciò da monitorare in modo continuo.

In terzo luogo il finanziamento della banca centrale deve essere temporaneo. Ecco il tallone d'Achille. Una banca centrale può stampare moneta pubblica solo assumendosi un rischio limitato, in quanto temporaneo. Ma può oggi essere considerato temporaneo il rischio di default della Grecia? Perché se lo Stato greco non paga, anche solo in parte, i suoi debiti, non può più essere considerato un debitore solvibile; quindi i suoi titoli non sono più utilizzabili dalle banche greche per ottenere il finanziamento della Bce. Se la Bce continuasse il finanziamento, rischierebbe di violare – oltre alla regola di Bagehot – i principi costitutivi del suo mandato.

Occorre dunque un piano B, per consentire alla Bce di continuare a finanziare le banche greche, anche in presenza di un default della Grecia, così come la Fed può continuare a finanziare una banca californiana, anche se lo stato della California dichiara il default. Il nodo di Gordio da spezzare è quello che lega le banche greche allo Stato greco. Gli ingredienti sono due. Innanzitutto, la volontà politica di tutti – Grecia inclusa – di avere un piano B, per evitare l'emergenza continua da qui ai prossimi mesi. In secondo luogo, e di riflesso, un accordo che consenta al Fondo Europeo di Stabilità (Esm), in un meccanismo gestito dall'Autorità Europea per le Crisi (Srm) di funzionare in modo da «europizzare» le banche greche, come proposto su queste pagine fin dal giugno 2013. Il Fondo Europeo di Stabilità deve poter finanziare le banche dell’Unione in difficoltà, ma facendo pagare tutti i responsabili, privati e pubblici delle difficoltà - manager, proprietari, supervisori nazionali e politici nazionali – con l'obiettivo di riportarle sul mercato. Ogni gestione di crisi – Grecia inclusa – rafforzerebbe l’Unione Bancaria, e nel contempo depotenzierebbe eventuali crisi del debito sovrano. In altri termini, avere nel perimetro monetario e bancario sia un Piano A che un Piano B, può rendere anche più probabile che il Piano A funzioni. Ma è davvero quello che vogliono tutti i protagonisti?

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