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Truman Capote scrittore orizzontale

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Truman Capote scrittore orizzontale

  • –di o DelL’ArtI

Baseball. Quella volta che Truman Capote ragazzo entrò nell’alimentari di Dickie Williams: «Come fai a sapere che quello che scrivi avrà successo?». E lui: «È come il baseball. Imbroccare il primo lancio buono è difficile, ma una volta fatto quello, il resto è facile».

Impiccione. Truman Capote, ancora bambino, vinse un concorso con uno scritto intitolato Il vecchio impiccione. Ma la zia si accorse che parlava del loro vicino di casa e ne bloccò l’uscita. Capote però sostenne per tutta la vita che il racconto era stato pubblicato.

Matite. Tra i compiti di Truman Capote, appena assunto al New Yorker: temperare le matite.

Università. «Sprecare il mio tempo all’università sarebbe stata l’ultima cosa che avrei fatto al mondo, perché sapevo già quello che volevo fare. Al tempo avevo letto una quantità enorme di libri, ed ero davvero uno scrittore molto esperto. Non c’era ragione per cui andassi all’università» (Truman Capote).

Parigi. Nel 1948 Capote andò a Parigi. Qui, conobbe Denham Fouts, un prostituto, che era stato talmente colpito da una sua foto da mandargli un assegno in bianco e un bigliettino: «Vieni». Capote andò a trovarlo nel suo appartamento di rue du Bac, arredato con un letto e sei sedie veneziane. Lui leggeva e Denham ascoltava. Non fecero altro, perché la libido di Fouts era stata completamente distrutta dall’oppio.

Costante. «Sono convinto che, se davvero ti ci metti d’impegno, puoi avere chiunque tu voglia al mondo. Devi solo essere molto costante; devi davvero dedicarti a seguire quella persona, pensandoci in continuazione» (Truman Capote).

Orizzontale. Capote si definiva un autore «completamente orizzontale». Era solito pensare sdraiato, a letto, oppure disteso su un divano, con sigarette e caffè a portata di mano. Man mano che il pomeriggio avanzava, passava dal caffè al tè alla menta, allo sherry e ai martini. Scriveva la prima versione a mano, a matita. Poi faceva una revisione completa, sempre a mano. Batteva la terza stesura a macchina su carta gialla, tenendo la macchina da scrivere in equilibrio sulle ginocchia. Sulla carta bianca finivano solo i manoscritti che avrebbe pubblicato.

Superstizioni. Superstizioso, Capote era capace di non telefonare a un amico se le cifre che componevano il suo numero erano infauste. Per lo stesso motivo rifiutava alcune camere d’albergo. Odiava le rose gialle, non teneva mai tre mozziconi di sigaretta in un posacenere, non viaggiava in aereo con due suore ecc.

Bugiardo. Capace di mentire solo indossando occhiali scuri.

Puntualità. Capote, maniaco per la puntualità, restava in piedi fuori dalla porta ad aspettare per essere sicuro di suonare il campanello all’ora esatta dell’appuntamento.

Warhol. Andy Warhol, che voleva conoscerlo a tutti a costi, gli inviava biglietti dipinti ad acquerello con farfalle e angeli, sui quali c’era scritto «Buon lunedì», «Buon martedì» ecc. Li consegnava a casa della madre e aspettava fuori dal palazzo, sperando di incontrarlo.

Casa. Un giorno Capote telefonò a Joanne Carson, dicendole che voleva andare a casa sua. Così fece un biglietto di sola andata per Los Angeles. Arrivò a mezzogiorno del giovedì. Morì il sabato mattina, 25 agosto 1984.

Vidal. Quando Gore Vidal apprese la notizia della morte di Capote era a Ravello. Mandò un messaggio a Johnny Carson: «Sai, John, so quanto devi esser contrariato dal magistrale colpo propagandistico di Joanne di far morire Capote a casa sua. In segno di amicizia per te, prometto che morirò a casa tua».

Notizie tratte da: George Plimpton, Truman Capote. Un libro in cui vari amici, nemici, conoscenti e detrattori rievocano la sua turbolenta carriera, Garzanti, Milano, pp. 468, 29 euro

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