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Rilanciare il capitale produttivo

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le vie della ripresa

Rilanciare il capitale produttivo

Francis Bacon diceva: «Un uomo saggio coglie più occasioni di quante ne trova». E di occasioni il governo ne ha trovate molte: dalle sentenze della Consulta, con un potenziale riordino delle pensioni e delle negoziazioni salariali nel comparto pubblico, alle deleghe fiscali e a quelle sul lavoro. Il tutto per favorire una distribuzione e redistribuzione del reddito oculate e incentivanti per la crescita economica e l’occupazione.

La distribuzione del reddito in un’economia di mercato è affidata, appunto, al mercato.

Tuttavia, per mantenere l’equità sociale e correggere le distorsioni, è compito della politica trovare la sintesi più corretta e redistribuire il reddito tenendo conto della solidarietà, che è necessaria in un paese democratico e civile, ma anche dell’efficienza economica.

In Italia, dopo 20 anni di crescita modesta e una recessione prolungata e senza precedenti, la spartizione del valore aggiunto tra lavoro e capitale è una lotta tra poveri, anzi poverissimi. In questa situazione bisogna privilegiare solo ciò che è veramente essenziale.

A mio avviso le cose essenziali sono: (a) limitare la povertà assoluta e privilegiare l’occupabilità e (b) favorire una redditività del capitale produttivo sufficiente ad attivare e stimolare gli investimenti privati.

Come molti sanno, il miglior modo per contrastare la povertà è favorire l’occupazione. Tuttavia, una rete di protezione che, anche nella più profonda delle crisi economiche e sociali, possa aiutare i lavoratori a restare “impiegabili” è altrettanto fondamentale.

La crisi economica ha prodotto aree sempre più vaste di povertà assoluta. Il problema è particolarmente critico per le famiglie numerose, i giovani, i senza lavoro e i cosiddetti “incapienti”, dove di fatto non può arrivare la detassazione dei redditi bassi introdotta dal governo. Con la disoccupazione di lunga durata e quella giovanile non lontane dai massimi storici, molte sono le misure che possono essere attivate per mantenere l’occupabilità. Dal supporto al reddito, anche con strumenti rifinanziabili e facilmente attivabili come la social card, alle politiche attive sul mercato del lavoro, per facilitare il rientro in occupazione del lavoratore. Assoggettare l’erogazione di un adeguato sostegno al reddito all’effettiva consistenza patrimoniale e condizionandolo, ove possibile, alla ricerca del lavoro e all’investimento in formazione ridurrebbe non soltanto la deprivazione materiale ma aiuterebbe anche la crescita economica.

Già all’inizio di quest’anno il governo, aveva promesso interventi per contrastare la povertà, ma sino ad ora nulla è stato fatto. Le risorse finanziarie sono certamente molto scarse. Ma questa non è solo una priorità, è una vera e propria emergenza.

La seconda emergenza è sul lato delle imprese. A partire dall’inizio del decennio scorso, secondo i dati di Confindustria, la distribuzione funzionale del reddito si è spostata progressivamente a favore del lavoro e a scapito del capitale produttivo, soprattutto nel settore manifatturiero e in controtendenza rispetto agli andamenti internazionali. In sostanza la redditività delle imprese è crollata perché una quota crescente è andata a remunerare i lavoratori, e questo pur in presenza di una “intensità di capitale” crescente. È accaduto per vari fattori e non ultimo per una contrazione del prodotto e della produttività del lavoro a cui non hanno fatto seguito simili dinamiche salariali.

Per garantire lo sviluppo economico futuro, occorre utilizzare gli strumenti fiscali al meglio per favorire una remunerazione del capitale produttivo sufficiente ad incentivare l’imprenditorialità e gli investimenti. Solo con questi ultimi infatti, e con i guadagni di produttività che essi possono generare, sarà possibile riportare l’Italia verso un sentiero sostenibile di crescita economica e di occupazione.

A questo deve continuare ad abbinarsi la moderazione salariale, pur lasciando margini per premiare il merito, per garantire che la ripresa economica continui a produrre occupazione. Vale ovviamente anche per il settore pubblico, per il suo potere segnaletico sul resto dell'economia e soprattutto perché i costi del settore pubblico espliciti ed impliciti vanno poi a ripercuotersi sulla competitività del settore privato. L’opportunità delle deleghe fiscali non dev’essere sprecata per affrontare con più decisione il tema della detassazione del lavoro, favorendo in tal modo anche il mantenimento della moderazione salariale.

Si impongono pertanto scelte difficili, e per certi aspetti impopolari. La politica economica deve proteggere i più deboli e preservare l’occupabilità, ma al contempo deve favorire una dinamica salariale in linea con la produttività e una remunerazione adeguata del capitale produttivo.

Pertanto, la politica deve riprendersi la capacità di fare scelte importanti in quest'ambito. Ovviamente non sono in grado di valutare la correttezza giuridica delle decisioni della Consulta. Però preoccupa molto che in Italia i giudici si siano appropriati di decisioni sulla redistribuzione del reddito in maniera svincolata da criteri economici. Mi viene in mente un vecchio film con il grande Roberto Benigni: “Down by Law”.

London School of Economics