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Se l’Europa rinasce dagli errori commessi

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la svolta che serve

Se l’Europa rinasce dagli errori commessi

Il dialogo tra la Grecia e i partner è ormai degradato. Chi ha vissuto dall’interno le trattative di sabato scorso non ha più riserve nel descrivere come spregiudicata o avventuristica la condotta del governo greco. Eppure dopo quattro mesi di trattative inconcludenti, Tsipras e Varoufakis avevano accettato gli obiettivi di bilancio che la Commissione aveva significativamente allentato. Ma le proposte di Atene per raggiungere i saldi di bilancio erano così recessive e così poco eque che nessun negoziatore le ha considerate credibili né in grado di risollevare il Paese.

Qualche esempio: anziché intervenire sull’età di pensionamento o eventualmente sulle pensioni più alte, Atene vuole un aumento dei contributi previdenziali e sanitari di 3,9 punti che revocavano le misure introdotte nel luglio scorso come incentivo all’occupazione. Una forma di austerità fiscale che avrebbe gravato sul costo del lavoro con effetti recessivi. D’altronde le stime attuariali su cui basare le previsioni di spesa pensionistica sono state presentate solo dopo quattro mesi di richieste, ma senza supporti di verifica. Così come le stime sull’attività dell’industria sono parse campate per aria.

L’impatto sulla competitività dell’economia greca sarebbe stato poi aggravato dalla richiesta di parificare il salario minimo dei giovani con quello dei lavoratori più esperti ostacolando ancor più il loro ingresso nel mercato del lavoro. Solo dopo aver riconosciuto che oltre il 50% dei giovani sono disoccupati, il governo greco ha sospeso la richiesta. L’introduzione di una tassa retroattiva del 12% sui profitti delle imprese superiori a 500mila euro avrebbe respinto gli investitori stranieri togliendo validità al piano di convogliare 35 miliardi di investimenti europei verso la Grecia nel contesto del piano Juncker.

Varoufakis ha poi chiesto l'introduzione di un piano di ammortamento dei debiti fiscali così generoso da azzerare ogni incentivo a pagare regolarmente le tasse in un paese in cui l'evasione fiscale è epidemica e in cui lo svantaggio per i contribuenti onesti sarebbe inevitabilmente aumentato. Infine alle ultime battute della trattativa è stata bloccata una proposta di Atene di applicare una moratoria sulle vendite ad incanto del collaterale del credito, un condono così generoso da incentivare a non ripagare i prestiti delle banche. Già ora i prestiti che non vanno a buon fine sono oltre il 40% del totale e il sistema bancario greco è in ginocchio.

Secondo i negoziatori europei, Bruxelles si è sforzata di dare razionalità al piano di riforme greco rendendolo meno recessivo e ove possibile più equo. Il presidente Juncker sostiene che l'ultima proposta della Commissione alleggerisse di altri 12 miliardi il taglio della spesa. Ma il clima creato da Varoufakis e dall'annuncio a sorpresa del referendum da parte di Alexis Tsipras ha deragliato ogni tentativo. Dalla delusione a Bruxelles si è passati all'indignazione dopo aver ascoltato le dichiarazioni con cui il ministro, al ritorno ad Atene, accusava le istituzioni europee di voler tagliare i salari e umiliare il popolo greco. Le dichiarazioni hanno distrutto ogni residua fiducia, compresa quella che un accordo all'ultima ora – pure ancora possibile – possa poi essere davvero rispettato.

Anche Tsipras è ormai considerato inaffidabile e ostile, in un negoziato che espone per la prima volta in modo eclatante i limiti della politica nazionale di fronte all'interdipendenza europea. Perfino gli istituti democratici perdono senso e diventano pura propaganda se non tengono conto del contesto europeo: il referendum convocato a sorpresa da Tsipras chiederà ai greci di aderire o bocciare una proposta che non esiste più perché l'eurogruppo l'ha ritirata tre giorni fa. Questo a Bruxelles non è considerato dare voce al popolo, ma al populismo. Il linguaggio d'altronde è così conflittuale e la fiducia così consumata che lo spirito che comanda le trattative non è più nemmeno la prosaica convenienza. Non è più neppure un problema di ideologia, cioè di attaccamento ai legittimi principi di una sinistra radicale che si contrappone alle logiche o alle retoriche sull'efficiente funzionamento di un'economia avanzata.

Un giornale greco ieri metteva il dito nella piaga: “Il fatto che il referendum proposto da Syriza sia sostenuto dai nazionalisti di Anel e dai neonazisti di Alba Dorata suggerisce che la vera divisione nella nostra società non riguarda più la destra o la sinistra, ma il diverso modo in cui vediamo noi stessi rispetto agli altri e il nostro posto nel mondo”. Un ministro greco ha confessato che anche l'idea del referendum era nata solo come arma di pressione negoziale, ma che poi ha preso vita propria e che ora nessuno sa più come tirarsi indietro.

Che cosa fare ora? Una possibilità di trovare un ultimo accordo in teoria ci sarebbe. Da parte greca basterebbe aderire alla proposta pubblicata dalla Commissione, molto vicina a quanto Atene aveva definito accettabile tre settimane fa. Da parte europea sarebbe necessario aggiungere una menzione dell'ovvia ristrutturazione del debito estero a cui tutti sappiamo si arriverà comunque e che era prevista per l'autunno. Alexis Tsipras potrebbe tornare ad Atene propagandando la difesa degli interessi dei suoi elettori, mentre gli europei potrebbero contare su un piano di lungo termine che fissi una cornice di razionalità alla politica economica greca riportandola sul sentiero di crescita del 2014.

Ma forse i margini di fiducia non esistono più. Angela Merkel ieri ha dichiarato che l'Europa si fonda sulla logica del compromesso, ma ha aggiunto che un'eventuale riconvocazione dei capi di governo dell'euro-area avverrà solo dopo il referendum greco. Doveva fare di più e mostrare ai cittadini greci ancora la mano tesa dei partner. Magari sottolineando che il compromesso sul tavolo sarà pagato a carissimo prezzo dai cittadini degli altri paesi: in teoria fino a cento miliardi di euro.

E' il problema originario della crisi greco-europea, che nasce e si approfondisce nella mancanza di trasparenza e di spirito di compromesso. Nel 2009, emerge il primo atto conflittuale: la falsificazione dei conti da parte greca che vede il deficit di Atene passare dal 3% al 16%. Nel 2010 la Troika impone unilateralmente al governo Papandreou una cura brutale che prevede il ritorno alla crescita entro due anni attraverso sacrifici penosi. Come sappiamo, la parte di riforma strutturale che toccava interessi locali non fu mai accettata dalla politica greca né dalla società, fu votata dal parlamento ma mai realizzata se non nei tagli indiscriminati alla spesa, il risultato fu il crollo del 23% del pil greco.

Dopo queste due fasi conflittuali si è aperta quest'anno una terza fase di durissima contrapposizione politica e dialettica tra il governo di Syriza e le istituzioni. Syriza si afferma dopo il 2008 come partito critico della politica europea e dei partiti che l'avevano preceduta. Quindi, quando il debito pubblico greco arriva al 180% del pil accusa la Troika, ma dimentica che se Atene – come quasi tutti gli altri paesi dell'euro area – avesse rispettato le regole del patto di stabilità il suo debito nel 2008 sarebbe stato vicino al 60% del pil, metà di quello italiano, e non sarebbe mai stata toccata dalla crisi. Per la terza volta, la gestione conflittuale dei negoziati apre una voragine nell'economia, riporta il paese in recessione, dimezza i depositi bancari e ci conduce alle soglie della crisi finale di questi giorni.

Comunque andrà a finire questa drammatica vicenda, che definirei la prima “guerra di interdipendenza” europea, la vera lezione per l'Europa è che – da entrambe le parti - non si gestisce una crisi con un'ostilità ottocentesca tra stati, con l'imposizione priva di consenso o con bugie e inganni tipici della diplomazia militare del passato. Non è la quantità materiale di solidarietà che è mancata, al contrario è stata ingente, ma la qualità della comprensione. In un'area politicamente e finanziariamente interdipendente come l'euroarea è necessaria la trasparente condivisione delle sovranità. E' un nuovo assetto democratico che dobbiamo costruire e che avrebbe senso rinascesse grazie alla Grecia.

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