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Ecomafia, il business decolla

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gli affari della criminalità

Ecomafia, il business decolla

Il fatturato dell’ecomafia torna a salire dopo anni di stallo: nel 2014 ha sfiorato i 22 miliardi, sette in più dell’anno precedente.

Il merito (si fa per dire) è del circuito illegale del settore agroalimentare che, tra sequestri e finanziamenti illeciti intercettati da inquirenti e investigatori, ha superato 4,3 miliardi (nel 2013 era di circa 500 milioni). L’impennata dimostra un’azione investigativa particolarmente mirata (oltre 8mila controlli nel 2014), soprattutto sul fronte della percezione illecita di contributi pubblici (principalmente europei) destinati all’agricoltura (quantificati in quasi 683 milioni; nel 2013 era di 28 milioni).

Sono alcune delle conclusioni del Rapporto di Legambiente «Ecomafia 2015 - Corrotti, clan e inquinatori. I ladri di futuro all’assalto del Belpaese», presentato ieri a Roma alla presenza, tra gli altri, del presidente dell’associazione Vittorio Cogliati Dezza e del capo della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo Franco Roberti.

L’anno scorso si è chiuso con 29.293 reati commessi e accertati in campo ambientale, circa 80 al giorno, poco meno di quattro ogni ora. Nel 2013 erano stati 29.274, confermando un trend che oscilla da diversi anni intorno ai 30mila ecoreati l’anno.

Le illegalità ambientali

È la Puglia la regione leader della classifica per infrazioni ambientali : 4.499, il 15,4% di quanto accertato su tutto il territorio nazionale. Alla Puglia anche il record di denunce (4.159) e di sequestri (2.469), mentre sono solo cinque le persone arrestate. Un grande contributo ai “primati pugliesi”, spiega il Rapporto, è dovuto al lavoro repressivo che si è concretizzato soprattutto nella provincia di Bari, dove le forze di polizia hanno messo a verbale 2.519 ecoreati.

Cresce l’incidenza criminale nelle regioni a tradizionale presenza mafiosa (Puglia, Sicilia, Campania e Calabria), che continuano a mantenere le prime quattro posizioni in classifica: più della metà del numero complessivo di infrazioni (14.736), con numeri altissimi di denunce (12.732), arresti (71) e sequestri (5.127). In controtendenza rispetto al 2013 il calo dei reati in Campania (-21% circa), in particolare nella provincia di Napoli, dove la riduzione è stata del 36%. «Forse i riflettori accesi di recente sulla Campania, soprattutto grazie alla moltiplicazione delle emergenze ambientali e sanitarie, che ha portato all’emanazione del decreto Terra dei fuochi - si legge nel rapporto - può, almeno in parte, spiegare questa riduzione del numero di reati».

Nel ciclo del cemento, Campania e Calabria la fanno da padrone. Avellino ha il più alto numero di reati (257), subito dopo ci sono Napoli (238), Salerno (220), a seguire le province di Reggio Calabria (217) e Cosenza (210).

Sempre su scala provinciale è da segnalare il dato di Genova, terza per numero di reati nel ciclo dei rifiuti (289), subito dopo Bari e Napoli e al decimo posto nell’illegalità complessiva.

Il fatturato complessivo

Il giro d’affari del settore agroalimentare è seguito a ruota da quello legato all’inquinamento ambientale (che comprende il valore dei sequestri delle strutture, dei beni e dei conti correnti nell’ambito di operazioni di polizia giudiziaria) che sale a 1,4 miliardi (800 milioni nel 2013). Cresce anche il business dell’archeomafia (che include il valore dei beni archeologici recuperati, i falsi sequestrati e i sequestri effettuati), che con 500 milioni vede più che raddoppiato il mercato nero (nel 2013 era di circa 200 milioni).

Stabili invece la gestione illegale dei rifiuti speciali, fermi a 3,1 miliardi e il racket degli animali, intorno ai 2,6 miliardi. L’unico calo si registra sul fronte dell’abusivismo edilizio, che risente della contrazione del numero dei nuovi immobili costruiti abusivamente (circa 18mila secondo le stime del Cresme, a fronte delle 26mila del 2013) e si riduce a 1,1 miliardi (nel 2013 era di 1,7 miliardi).

Passando agli investimenti a rischio, si registra un’impennata degli appalti pubblici, stimati ancora dal Cresme per il 2014 in 7,9 miliardi (nel 2013 la cifra era di 5 miliardi), mentre rimangono stabili intorno al miliardo gli appalti a rischio per la gestione dei rifiuti urbani. Il totale arriva dunque a di 21,9 miliardi e sommando i fatturati dell’ecomafia dal 1992 a oggi si superano abbondantemente i 340 miliardi.

La fotografia di Legambiente è completata da altre novità: cresce di quattro volte la superfice boschiva percorsa dagli incendi (anche se cala, seppure di poco, la quantità), nonostante una stagione molto umida, mentre si assiste alla drastica riduzione degli illeciti nel traffico internazionale dei rifiuti.

Le indagini, inoltre, confermano che i traffici illeciti dei rifiuti urbani fioriscono dove il sistema di raccolta rispecchia i modelli antiquati dell’indifferenziato e della discarica, mentre per i rifiuti speciali è la collusione tra imprese ed ecomafie, con la mediazione dei colletti bianchi, a garantire gli affari illegali.

Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, conferma la gravità della situazione. «Gli appalti pubblici nel settore dell’ambiente - si legge nel Rapporto - sono tra quelli più esposti alla corruzione e alla criminalità organizzata. Gli appalti pubblici collegati alla gestione dei rifiuti sono uno dei settori più a rischio. Nel settore dell’ambiente rientra poi tutta una serie di attività diverse come la gestione del verde pubblico. Settori nuovi sui quali a oggi è difficile fare una valutazione anche se da alcune indagini come quella su Mafia Capitale sembrano intravvedersi cose preoccupanti».

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