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La partita di Renzi a Berlino

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politica 2.0

La partita di Renzi a Berlino

«Dare sempre la colpa ai tedeschi non può essere una politica». È una delle frasi-chiave di Renzi nell’intervista di ieri al Sole 24 Ore. Il premier si schiera con Berlino rivedendo sue affermazioni passate e rispondendo alle voci anti-tedesche che ci sono pure nel Pd. È vero, oggi incontrerà la Merkel, ma in quel passaggio c’è un primo tentativo di riposizionamento.

Sembra passato un secolo da quando, era la fine di febbraio del 2013, Giorgio Napolitano andava in visita ufficiale da Angela Merkel proprio all’indomani delle elezioni politiche. Non c’era un chiaro vincitore, la situazione dei conti era quella che sappiamo, non c’era la crescita, nessun segnale sul fronte occupazionale. Quasi due anni prima era arrivata la lettera della Bce e Mario Monti era, secondo i giornali tedeschi, il “miglior genero” che si potesse desiderare. Insomma, in questi ultimi 4 anni il ruolo che la Germania ha giocato anche sul suolo italiano è stato determinante. Eravamo quelli dei compiti a casa, quelli che pure secondo Mario Draghi dovevamo mettere in campo riforme decisive anche per favorire decisioni cruciali della Bce tra cui proprio quel quantitative easing che ora ci sta mettendo al riparo dagli spread oltre la soglia di sicurezza.

In questi anni è stato piuttosto popolare essere anti-Merkel molto più che anti-euro. Pure Renzi lo è stato anche prima di diventare segretario del Pd anticipando quello che oggi dicono sia Bersani che D’Alema sulla Cancelliera. La novità è che lui ora fa marcia indietro. E non solo perché oggi va dalla Merkel, e dunque rilascia dichiarazioni diplomatiche alla vigilia dell’incontro, ma perché la Grecia impone di schierarsi da una parte o dall’altra. E il premier si schiera più vicino a Berlino anche nel tentativo di rafforzare il ruolo del suo Governo. Difficile dire come andrà ma alcuni elementi giocano a suo favore.

Innanzitutto il disastro che gli sta intorno in Europa: al netto della tragedia greca, c’è un presidente francese molto debole, la Spagna che sta per andare al voto, la Gran Bretagna che si prepara a un referendum sull’Unione. Insomma, niente è più solido come prima. E poi c’è il contesto interno. Il ricordo di com’era l’Italia quattro anni fa è ancora piuttosto vivo. Quel timore che l’insostenibilità del debito trascinasse con sé l’euro è memoria recente e dunque avere come interlocutore un Governo che si è messo nel cammino delle riforme, vede un po’ di crescita e segnali – altalenanti – sull’occupazione, è comunque uno scenario diverso dal passato. E poi ci sono le considerazioni politiche.

Mai come adesso in Italia il Parlamento è sbilanciato verso posizioni anti-europeiste e marcatamente anti-tedesche. Da Grillo a Salvini fino a Forza Italia e alla sinistra ma pure nel Pd avanzano le voci contro la Germania. Il premier è quello che invece sterza verso Berlino scommettendo in un riposizionamento dell’Italia. In un ruolo che sia meno marginale di quanto non sia stato nella trattativa su Atene. Nell’intervista al Sole 24 Ore di ieri, Renzi dice di non aver voluto partecipare ai vertici ristretti, che non ne condivide il metodo. Sarà vero ma se c’è qualcosa da guadagnare nel contesto che offre la Grecia è proprio poter avere una voce. Che sia espressa nei “caminetti” europei o in sedi trasparenti e democratiche si vedrà ma l’Italia e il Governo hanno un disperato bisogno di essere ascoltati in Europa. Primo: sull’immigrazione. Secondo: sull’economia.

Fare a settembre la legge di stabilità non sarà facile, è un percorso a ostacoli tra clausole di salvaguardia da disattivare e il rischio di nuovi oneri dalla crisi greca. Quello è un banco di prova decisivo per Renzi perché la legge di stabilità dell’autunno prepara le elezioni amministrative della primavera: Milano, Bologna, Napoli, Genova, forse pure Roma. Senza una forte sintonia con Berlino su questi due fronti è difficile fronteggiare l’avanzata di chi farà campagna contro l’Europa della Merkel.

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