Tutto è diverso dal 2011, allora i mercati non avevano capito lo shock esterno e, soprattutto, non avevano fiducia nella capacità dell'Italia di mettere a posto i conti pubblici e di fare le riforme per tornare a crescere, non c'erano veri meccanismi di protezione e, tanto meno, il Quantitative easing della Bce.
Oggi lo shock è ancora esterno, i mercati lo hanno capito, riguarda la Grecia e mette in gioco democrazia e finanza, ma può toccare la vulnerabilità dell'euro, produrre turbolenza, incidere sui tassi e, quindi, sui costi del nostro debito pubblico. Non è quello che serve per la debole ripresa italiana, non è ciò che ci meritiamo.
Nessuno è in grado di dire, con sicurezza, che cosa succede se vince il sì o il no al referendum greco, gli scenari più probabili ve li raccontiamo a parte in questa edizione del giornale, ma vogliamo sperare che possa essere l'occasione per aprire in Europa un confronto vero sulla realizzazione di quella coesione di cui i Paesi del Sud (tutti) hanno disperato bisogno e per la quale, sono certo, oggi si batterebbero i Padri Fondatori, a partire da quelli del Nord Europa.
Bisogna prendere atto che il debito greco è carta, solo carta, e il futuro della Grecia non dipende di certo da un punto in più o in meno di aliquota Iva, da finzione su finzione, tra un accordo e l'altro, ma dalla ripresa degli investimenti e dalla capacità di cambiare dei cittadini greci e della loro macchina pubblica.
L'Europa, piuttosto, colga l'occasione per correggere i suoi peccati di omissione, l'eccesso di zelo rigorista e per sanare gli errori evidenti. E compia, finalmente, scelte politicamente coraggiose che dimostrino di avere ritrovato lo spirito solidaristico:
- si prenda una delle tante proposte formulate, alcune anche dai think tank più illuminati in Germania, e si vari un Fondo unico che raccolga gli “eccessi” nazionali di debito pubblico (rispetto al tetto del 60% del pil, uno degli errori iniziali) e si misurino le virtù dei singoli Paesi, liberati da fardelli insostenibili durante la più lunga e strutturale delle crisi mondiali;
- ci si impegni tutti, di comune accordo, a rispettare vincoli ragionevoli nei conti pubblici e nei conti con l'estero per contenere ragionevolmente gli squilibri;
- si somministri una cura da cavallo di eurobond innovativi e di project bond che faccia ripartire le economie più deboli con investimenti materiali e immateriali sani, infrastrutturali, di lungo termine;
- si dimostri, con i fatti, che non esiste l'Unione del Nord Europa ma di tutta l'Europa sui terreni geopolitici decisivi del terrorismo e dell'immigrazione, qui si formeranno e misureranno l'anima e il corpo del nuovo cittadino europeo per l'oggi e per il domani.
Se la Francia continuerà a scambiare lo scudo sui tassi con l'obbedienza tedesca restringendo, di fatto, il campo di sperimentazione di una nuova visione politica del governo di Angela Merkel che pure, a tratti, sembra emergere e se la Spagna punterà a fare o almeno a essere percepita come la Germania dei poveri, la politica perderà, il sogno degli Stati Uniti d'Europa non si realizzerà, e il nostro Paese rischierà di pagare, ancora una volta, un prezzo più alto.
Non possiamo permettercelo noi, ma, a ben vedere, non se lo può permettere, ancora prima, l'Europa, se vuole uscire dai riti e dalle finzioni e cominciare a diventare realtà. Meno contabilità e più economia, meno finanza speculativa e più investimenti.
Il referendum greco almeno ci aiuti a ricordare che nessuno si può illudere di potere saltare questo bivio e che ci si deve impegnare, con i fatti, a ricostituire un clima di fiducia reciproca.
La serietà è richiesta a tutti, ricchi e poveri, in egual misura.
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