Molto più che la vittoria netta di Alexis Tsipras è la sconfitta bruciante e clamorosa dell’Europa e dell’eurozona. Uno shock che alla lunga potrebbe avere conseguenze ancora più devastanti di quello che, esattamente dieci anni fa, vide a sorpresa Francia e Olanda bocciare per referendum il progetto di Costituzione europea e di lì scattare la silenziosa ma inarrestata involuzione intergovernativa dell’Unione.
Guerra psicologica e aperte intimidazioni da Bruxelles e dintorni paradossalmente non sono bastate ad addomesticare un popolo, quello greco, furiosamente filo-europeista e filo-euro (80%) ma prostrato da un durissimo quinquennio di austerità. Che, nelle intenzioni dei creditori, dovrebbe continuare ancora a lungo ma senza, almeno finora, nessun sollievo sul fronte di un debito ritenuto da tutti insostenibile.
Il 61% dei greci ieri ha detto no al rigore senza remissione. Ma non ha detto no all’euro e men che meno all’Europa.
Sono gli europei che fin dal principio hanno forzato un’equazione inesistente, non prevista dai Trattati ma accarezzata con convinzione da chi, e sono molti, considera la Grecia e il suo risanamento una partita persa, il governo attuale semplicemente insopportabile, le sue richieste inaccettabili perché ne scatenerebbero subito altre, e per questo vede Grexit come la liberazione: indolore politicamente perché Tsipras ora l’avrebbe, sostengono, servita su un piatto d’argento e finanziariamente perché l’avvenuto rafforzamento della governance dell’euro combinato con l’arsenale di misure della Bce ne consentirebbe la salvaguardia senza costi né traumi eccessivi. Anzi, divorzio prezioso per fare la moneta unica più forte e coesa.
Illusioni. Mai in passato le secessioni dalle politiche comuni (difesa, immigrazione, giustizia, sociale, moneta), pretese da Irlanda, Gran Bretagna, Danimarca, Svezia tanto per citare qualche nome, ne hanno corroborato il successo. Al contrario, nella migliore delle ipotesi, ne hanno complicato l’attuazione e danneggiato l’efficacia.
Integrità e irreversibilità fanno parte del Dna dell'euro. Che non contempla espulsioni, più o meno ben mascherate. Per questo Grexit equivarrebbe a un suicidio collettivo. Presto, forse già oggi, potrebbe rivelarsi incontrollabile il ballo delle Borse e degli spread sui mercati. E i primi a soffrirne potrebbero essere i Paesi più deboli come Portogallo, Spagna e Italia, come sempre a vantaggio dei più forti.
Questa volta gli investitori potrebbero però mostrarsi severi con l’intera area per comprovata incapacità, in 5 mesi di negoziati, di regolare un problema minore come quello greco (2% del Pil, 3% del debito): cosa succederebbe domani, si chiederebbero, se il problema diventasse portoghese, spagnolo o italiano? O addirittura francese?
Facile da pilotare cominciando ad abbandonare le banche greche al collasso in cui già si trovano, Grexit rischierebbe di trasformarsi in un enorme boomerang per l’Europa: e non solo perché, in un momento di insicurezze generalizzate dentro e fuori dalle sue frontiere, scaricherebbe un Paese di importanza geo-politica non marginale. Non solo perché, oltre a destabilizzare se stessa oscurando il proprio futuro, esporterebbe instabilità nell’economia mondiale fragilizzando una ripresa che non riesce a irrobustirsi.
Ma anche e soprattutto perché si accanirebbe contro un partner e un popolo che hanno avuto il torto di esprimere dissenso da regole e politiche che, anche quando applicate nel modo più serio e rigoroso, finora hanno prodotto encomiabili virtù di bilancio ma non altrettante virtù di sviluppo economico.
Se anche la Germania, l’indiscusso campione europeo, cresce poco sopra l’1%, forse sarebbe opportuna qualche autocritica, il ripensamento del modello europeo, dei suoi parametri e delle sue regole e dei suoi tabù per metterlo al passo con economia e competitori globali, per dargli quella spinta che da sole le riforme strutturali, la modernizzazione di sistema non bastano a imprimergli. Ci vuole la volontà politica di stare insieme senza ambiguità e senza retro-pensieri. Ma oggi più che mai ci vuole lungimiranza, la fine dei dogmi intoccabili, una nuova dottrina europea coraggiosa e innovativa. Non la rottura dei negoziati con Atene.
Invece, quando Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank , avverte il governo che l’uscita della Grecia potrebbe costare miliardi al bilancio tedesco in pareggio, perché i profitti della Buba che vi confluiscono risentirebbero in negativo dei costi dell’operazione, illustra in modo esemplare quanto troppo ci si concentri, nell’Europa che conta e decide, sugli interessi particolari, sia pure importanti, perdendo di vista l’interesse generale.
Grexit non può essere ridotta a una mera partita contabile. Atene è le radici, la storia, la cultura, la democrazia europea. L’Europa non si può dimenticare un pezzo fondamentale della sua identità. Adesso sarebbe ora che la Grecia facesse altrettanto.
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