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Negoziato permanente

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IL COMMENTO

Negoziato permanente

Ma alla fine ci sarà o no la volontà politica dell'Eurozona di salvare la Grecia e il paese e il popolo di Alexis Tsipras saranno o no disposti alle concessioni rigoriste e alle dure riforme indispensabili per salvarsi da Grexit? Le domande sono le stesse da mesi ma continuavano a planare, identiche e senza risposta, sull'ennesimo vertice europeo di ultima istanza riunito ieri sera a Bruxelles.
Dopo i muri contro muri, le porte sbattute, le infinite interruzioni e rotture negoziali, ora le parti con enorme cautela ed enormi punti interrogativi sembrano disposte a tentare l'ultimo passo verso una possibile riconciliazione. Sembrano. Ma fino a che punto sia un riavvicinamento costruttivo e sincero e non una grande mascherata collettiva per dissimulare secondi fini, prima di tutto quello di non diventare l'ultimo a restare con il cerino in mano, è ancora tutto da capire. «Al momento Grexit è data 70 a 30, a meno che il premier ellenico non metta sul tavolo un piano di riforme molto convincente, che per ora non si intravede», taglia corto un volutamente anonimo diplomatico europeo.

Tsipras ieri non ha presentato nuove offerte, è rimasto fermo all'ultima, quella che sembrava potersi trasformare in un'intesa per poi impigliarsi nello strappo referendario con pubblico appello al voto negativo. Rivelatosi straripante. L'ha però promessa per oggi, la nuova offerta, la fotocopia, sembra, del piano Juncker, insieme alla richiesta ufficiale di un prestito-ponte nell'immediato per evitare il default bancario e di un terzo salvataggio tramite finanziamento Esm da 30 miliardi per evitare l'insolvenza sul debito. «Ormai è questione di giorni, non di settimane.

La solidarietà presuppone responsabilità» ha ribadito Angela Merkel. Chiarendo, come quasi tutti gli altri leader dell'Eurogruppo, che la palla è tutta in campo greco. Dove la liquidità delle banche (chiuse) è al lumicino e il salvataggio immediato non potrà che arrivare dalla riapertura dei rubinetti Ela. Che però la Bce di Mario Draghi non potrà riattivare senza una ripresa delle trattative, senza la garanzia di un solido ombrello politico da parte del vertice europeo.

Nei fatti nella partita in corso si giocano non solo le sorti dell'integrità e dell'irriversibilità della moneta unica. La sua valenza globale vede da tempo Stati Uniti e Cina premere sulla Germania per convincerla a non rischiare Grexit, in breve uno shock per l'economia mondiale che, avvertono, potrebbe produrre le stesse devastazioni del fallimento di Lehman Brothers nel 2007. Non a caso ieri il presidente Barack Obama ha telefonato prima a Tsipras e poi alla Merkel nella speranza di indurre entrambi a più miti consigli anche per ragioni strategiche: scongiurare la destabilizzazione del fianco sudorientale della Nato mentre nell'area crescono le minacce alla sicurezza occidentale insieme agli ammiccamenti ad Atene della Russia di Vladimir Putin.

Scongiurato ieri sera il peggio, il destino della Grecia continua a correre sul filo di un rasoio sottilissimo. Non solo perché nella stragrande maggioranza dei suoi partner la pazienza è finita e prevale l'esasperazione. Ma perché, anche se ci fosse una nuova disponibilità, che non c'è, ad accogliere le sue richieste senza precise e incalzanti condizioni, i margini di manovra politici non ci sono. La Merkel ha il partito in rivolta, l'opinione pubblica sul piede di guerra, l'alleato socialdemocratico irrigidito. Analoghi gli arroccamenti nei parlamenti del Nord chiamati a votare come il Bundestag. Chiusure anche a Sud, dove chi i sacrifici li ha fatti non intende accettare sconti per i greci. Se prevarrà il realismo in Grecia e se l'Eurogruppo non pretenderà di stravincere nel suo braccio di ferro, forse alla fine l'accordo ci sarà. In ogni caso sarà negoziato permanente da qui a domenica, quando un altro vertice europeo dovrebbe finalmente chiudere il cerchio negoziale

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