C'è ancora qualcuno che vuole separare il rischio default sui titoli sovrani greci da quello di uscita della Grecia dall'area euro? Se la risposta è positiva, tutto dipende dal nodo di Gordio rappresentato dalle banche greche: se il default dei titoli pubblici non provoca rischi sistemici, il sistema dei pagamenti può continuare a funzionare regolarmente. È quello che insegna la recente esperienza di Portorico. Per tagliare il nodo di Gordio, occorre una soluzione cooperativa tra l'Unione e la Grecia, basata su una staffetta tra la Banca centrale europea (Bce) e il Fondo europeo per la stabilità (Esm), dove il Fondo sostituisce la Bce come garante della solvibilità delle banche greche, con la banca centrale che torna ad essere quello che dovrebbe e che oggi non è più: un temporaneo fornitore della liquidità.
Come anticipato su queste pagine, l'esito del referendum greco sull'accettabilità delle condizioni dei creditori per un rifinanziamento del debito sovrano non ha affatto ridotto le incertezze sulla sostenibilità di tale debito; anzi. Nonostante il chiaro esito, gli effetti sui comportamenti degli attori sono stati i più diversi. La probabilità di un accordo tra l'Unione (i creditori) e la Grecia (i debitori) non è aumentata. Quella che è aumentata è di certo la probabilità che il mancato accordo sul debito possa portare all'uscita della Grecia dall'area euro. La ragione sta nel nodo di Gordio che lega il destino delle banche greche a quello del debito sovrano.
L'unico effetto certo del referendum greco è stato l'aumento dei rischi di crisi bancaria. Ma l'aumento dei rischi di crisi bancaria non sembra finora aver aumentato gli incentivi di Unione e Grecia a trovare un accordo fiscale. La ragione più probabile è che finora nei mercati non c'è una robusta traccia del temuto “effetto contagio”. Il post referendum ha visto mare (poco) mosso su Borse e cambi; ma questo è fisiologico. Più interessante è stato constatare una sostanziale calma piatta sui mercati dei titoli sovrani. Ma al decrescere del rischio contagio, è poco probabile - come è avvenuto finora - che crescano le probabilità dell'accordo fiscale.
Rimane lo stato di salute precario delle banche, il vero detonatore ancora attivo per trasformare la crisi fiscale in Grexit. Senza tale detonatore, il rischio fiscale più difficilmente si trasforma in rischio sistemico. Emblematico quello che è successo nei giorni scorsi a Portorico. Il governo locale ha dichiarato l'insolvenza; l'incapacità di ripagare i propri debiti però non ha innescato alcun effetto contagio. La ragione? I titoli portoricani non hanno un peso rilevante nei portafogli bancari, ma sono allocati principalmente in portafogli di investitori internazionali, o comunque stranieri. Le perdite saranno private, ma non sistemiche. Le banche usano la valuta comune (il dollaro), e sanno di poter accedere al mercato dei prestiti in dollari. Il detonatore è neutralizzato.
Come disinnescare il detonatore banche in Grecia? Non certo continuando ad utilizzare la Bce. Già oggi la Bce sta tentando una difficile quadratura del cerchio tra l'obbligo istituzionale di rispettare il mandato di tutelare la disciplina monetaria con l'opportunità di erogare liquidità alle banche greche. La Bce sta percorrendo un crinale molto sottile; ed alcuni membri del suo consiglio - con in testa il presidente della Bundesbank - non mancano occasione per rilevarlo. La disciplina monetaria impone che la liquidità sia erogata solo a banche solvibili; la solvibilità delle banche greche esiste solo con una ragionevole probabilità di accordo fiscale. Non solo: l'erogazione della liquidità deve essere temporanea; aggettivo che va sempre più stretto a quello che concretamente la Bce sta facendo.
Dunque occorre una ricapitalizzazione delle banche greche, che spezzi il nodo di Gordio. L'Unione e la Grecia possono trovare o meno un accordo fiscale, più o meno stabile, ma dovrebbero convenire che l'intreccio banche-titoli sovrani fa male a tutti. L'accordo unanime sull'obiettivo consentirebbe di prendere in considerazione come strumento l'intervento del Fondo di stabilità. La ricapitalizzazione delle banche dovrebbe avvenire con fondi europei, ma in cambio le banche greche dovrebbero essere “denazionalizzate”: il Fondo sarebbe solo temporaneo azionista, con l'obiettivo di riportare sul mercato aziende che lì troverebbero i loro nuovi azionisti. La staffetta tra Bce ed Esm spezzerebbe il nodo di Gordio, vedrebbe un uso non parassitario dei fondi europei, aumenterebbe il grado di integrazione dei mercati bancari europei, farebbe tornare la Bce nel suo alveo istituzionale naturale. Si chiama gioco a somma positiva; ma hanno davvero voglia di giocarlo ad Atene, Berlino e Bruxelles?
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