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Se si spezza l’asse Berlino-Parigi

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Se si spezza l’asse Berlino-Parigi

Vista da Berlino la politica greca è come un oltraggio all’insegnamento biblico: fa che il tuo sì sia un sì e il tuo no un no. Dopo un referendum che chiedeva un no e un voto parlamentare che assicurava il sì, la residua fiducia del governo tedesco in Alexis Tsipras si è del tutto esaurita. Come è successo lungo questa crisi interminabile, ogni volta che la fiducia calava si irrigidivano le condizioni per il Paese in difficoltà. Se Francia e Italia non interverranno, le condizioni imposte ieri sembrano lasciare pochi margini: o Tsipras lascia (o cambia) il governo o Atene lascia l’euro.

A poco è servito che Tsipras col referendum fosse riuscito a mettere le redini all’ala intransigente di Syriza e si fosse messo sotto l’ala del presidente Hollande. Tra Berlino e Parigi, la questione greca ha infatti aperto un fronte che riguarda la visione comune dell’Europa e il bilanciamento tra i due Paesi guida. A Berlino, il documento delle riforme che Atene ha scritto subito dopo il referendum - segretamente aiutato dal governo francese - è stato letto con incredulità: a parole c’è tutto, più di quanto richiesto, c’è così tanto da non poter funzionare. Ein Scherz, una barzelletta, ha commentato Wolfgang Schäuble. Il vecchio ministro delle Finanze ha pensato che nulla fosse cambiato rispetto a quando a far promesse era Yannis Varoufakis. Quello scriveva che il surplus di bilancio greco sarebbe stato l’1,5%, Schäuble gli chiedeva, in che modo, sii più specifico, e quello rispondeva, va bene il surplus sarà 1,51%. Sei mesi buttati via in questo modo, mentre l’economia greca crollava e il costo del salvataggio cresceva di 200 milioni al giorno.

Il successore, Euclid Tsakalatos, non gli dispiace. È un vero comunista, di quelli con cui Schäuble nel 1990 negoziò in poche settimane il trattato di unificazione tra le due Germanie. Ma attorno al tavolo dei capi di governo, i leader avversari di Tsipras sono per il 90% nati in Paesi che erano sotto un regime dittatoriale. La loro sfiducia nella dialettica politica è connaturata all’esperienza del Novecento europeo: il vizio ideologico di parole che non corrispondono ai fatti. E i governi greci purtroppo secondo loro portano su di sé quello stesso stigma. E lo stesso autolesionismo: convocare il referendum ha significato uscire dal secondo programma di assistenza da cui i greci avrebbero potuto ricavare subito da 7 a 18 miliardi senza aver nemmeno avvicinato il tema del terzo programma di aiuti.

In questo clima si è arrivati al fine settimana con Berlino che giudica la sponda francese ad Atene come un esercizio ambiguo e controproducente. La parola d’ordine a Berlino è stata nei giorni scorsi “condizionalità rafforzata” o in una parola: Troika. Il ritorno in forza della supervisione di Bce-Fmi-Ue su ogni decisione politica di Atene, sinonimo di fallimento di Tsipras.

Per concedere a Tsipras solo tre giorni in cui dar seguito alle parole con leggi approvate, Merkel non ha avuto bisogno di continuare a fingere più a lungo una diversità di vedute con il suo ministro: «La moneta più importante, la fiducia, è già andata perduta». Schäuble è a fine carriera e fa la faccia dura anche per togliere il costo politico dalle spalle della cancelliera e quindi dal suo Paese. Ma tra i due leader c'è poca distanza. Se non che, a gerarchie ribaltate, è il ministro il vero ideologo della strategia europea e la cancelliera l’esecutrice. Schäuble diventa emotivo se i francesi lo accusano di essere anti-europeo. Sostiene di volere difendere l’Europa dalla rovina in cui la Grecia l’avrebbe gettata. Nella logica dell’ex delfino di Kohl, fino a che un Paese mina la fiducia non ci potrà essere maggiore condivisione politica nemmeno tra gli altri.

Grexit è quindi arrivata per la prima volta sul tavolo di Bruxelles la settimana scorsa. Non esiste una maggioranza politica per imporla perché Francia e Italia a buona ragione si opporranno, così la tattica di Merkel è ancora di fare pressione sull’orlo del burrone. Ma per la prima volta Tsipras ha riconosciuto che la minaccia di Berlino può costringere Atene a uscire senza nemmeno una decisione politica del Consiglio Ue. Il solo rinvio di un accordo significherebbe miseria, recessione più profonda e banche insolventi. Le condizioni poste ad Atene dal documento di ieri sono così severe da mettere Tsipras nella condizione di rinunciare. Ogni giorno il laccio si stringe di più. E quando sabato sera Draghi ha detto chiaramente che la Bce era al limite del suo spazio di manovra giuridico e che senza un accordo dei capi di governo non avrebbe potuto rifinanziare le banche greche, Schäuble ha visto in Draghi una complicazione nella strategia di pressione.

Come capita spesso, il linguaggio politico tedesco è una strana forma di culturismo dialettico più gonfio di quanto sia necessario. Un’incapacità diplomatica che fa la fortuna dei francesi. Sulla questione greca infatti il fronte tra Parigi e Berlino si è aperto come raramente in passato. Se la Grecia uscisse dall’euro, i rapporti di forza finanziaria tra Paesi creditori e debitori diventerebbero ancora più netti. Il rischio di abbandono della moneta unica alzerebbe il premio al rischio rendendo i costi del debito sovrano più divergenti. Quanto tempo passerà prima che il debito francese salga a quota 100% del Pil, mentre quello tedesco scenderà sotto il 60%? Ma come ha dimostrato questa crisi, i rapporti di forza finanziaria sono anche rapporti di forza politica. Dietro la soluzione della questione greca si gioca dunque il rapporto tra i due Paesi-guida dell’Unione europea. I due Paesi per la cui coesistenza pacifica tutto è iniziato. Il divaricarsi di visioni tra Parigi e Berlino coincide anche con un’inedita ridefinizione della politica europea lungo l’asse destra-sinistra, ben visibile al Parlamento europeo. Come se le ombre delle ideologie, nel bene e nel male, e dell’autolesionismo europeo continuassero ad allungarsi ben oltre il Novecento.

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