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Sui beni confiscati serve trasparenza

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imprese & legalità

Sui beni confiscati serve trasparenza

Il sequestro di beni da 1,6 miliardi che pochi giorni fa ha colpito la famiglia siciliana dei Virga, è meritevole di grande attenzione, perché numerosi sono i problemi che squaderna sui tavoli del governo, del Parlamento e della magistratura.

Prima di entrare nel labirinto dei problemi, però, va detto che alla Direzione investigativa antimafia e al Tribunale di Palermo va dato atto di aver assestato un nuovo, durissimo colpo all’area del malaffare che ancora oggi non molla la presa sull’economia isolana.

La misura di prevenzione promossa dalla Dia riguarda beni immobili e mobili, rapporti bancari, trust e imprese che fanno capo ai cinque fratelli Virga, originari di Marineo (Pa), imprenditori ritenuti (troppo) vicini al mandamento di Corleone. L’elenco dei beni è impressionante: 33 imprese, per lo più del settore del calcestruzzo; 700 tra case, ville, immobili vari e terreni; 80 rapporti bancari, 40 assicurativi, oltre 40 mezzi meccanici.

I collaboratori di giustizia raccontano che fino agli anni 80, i Virga erano una famiglia di agricoltori, allevatori e casalinghe, fino a che la loro attività si era concentrata sul calcestruzzo e dintorni, espandendosi all’ombra dei Corleonesi, grazie ai quali potevano sedere al “tavolino degli appalti” gestito, per Cosa Nostra, da Angelo Siino.

In questa storia classicamente siciliana, non poteva mancare – insieme allo strepitoso arricchimento disvelato dal sequestro – il rapporto dei Virga con il racket delle estorsioni: dopo averlo subìto/foraggiato per decenni, nel 2010 denunciano un noto “esattore” della zona. Testimonianza confermata in Tribunale, che porta a diverse condanne e persino allo scioglimento per mafia del Comune di Misilmeri; una denuncia talmente vera che ottiene l’appoggio dell’associazione Addiopizzo la quale, a seguito della retata dei beni, in un comunicato precisa: «Da anni avevamo ritenuto non opportuno includere nella rete di consumo critico antiracket anche quelle società. Una scelta compiuta in tempi non sospetti e nonostante gli operatori (i Virga, ndr) avessero sporto denunce per episodi estorsivi».

In questa vicenda c’è tutta la complessità che deve gestire il fronte della legalità, dalla massa dei beni tolti alle mafie che cresce senza sosta, alla qualificazione etica di chi intende schierarsi e denunciare il pizzo; dai rapporti tra istituzioni e società civile nelle sue varie rappresentazioni, allo stato brado in cui ancora oggi versa il mercato del calcestruzzo, tra i più a rischio per la sua frammentazione e nonostante i ripetuti allarmi degli operatori sani del settore.

A chi andrà in gestione l’impero dei Virga? A un solo amministratore? A un board di professionisti che accetteranno di farsi affiancare da manager esperti dei vari settori?

E con quale roadmap? Si tenterà di salvare il salvabile, senza raddoppiare il danno ai concorrenti (prima emarginati dalle relazioni mafiose, poi dall’intervento dello Stato) o si potranno azzerare i beni che di impresa avevano solo la facciata?

E gli immobili? Si potranno persino vendere o – assecondando teorie assai in voga – vanno tenuti lì fino alla decomposizione, per non scalfire il loro intrinseco valore simbolico di bottino di guerra alla mafia? E l’Agenzia che li prenderà in carico, ha intanto ricevuto il personale di rinforzo per quantità e competenze?

Non sono interrogativi ridondanti, perché le risposte ancora non ci sono. Ci sono, al contrario lobby potenti che dell’assegnazione dei beni confiscati hanno fatto ormai la propria ragione di esistenza e sussistenza, così come si sono creati imperi economici fatti di decine di beni in gestione, il che nega in radice ogni possibilità di buona amministrazione, a meno di non essere dotati di superpoteri. Ci sono leggi che stentano a vedere la luce ed errori da correggere in quelle che la luce potrebbero, alla fine, vederla.

Tutto questo silenzioso, vano e a volte feroce sgomitare, avviene su una montagna di soldi (tra gli 8 e i 20 miliardi) che nemmeno il recupero dell’evasione fiscale ci consente. Ma che la consueta assenza della politica riesce a non utilizzare, a non far fruttare e, in definitiva, a sprecare.

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