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Berlino e le due velocità

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l’analisi

Berlino e le due velocità

È come se ormai il genio fosse scappato dalla lampada. C'è voluto un negoziato difficilissimo per evitare il Grexit, ma l'ipotesi dell'uscita di un paese dall'euro è rimasta nell'aria come un'opzione pur sempre possibile. O addirittura come un'ipotesi tuttora valida qualora Atene rifiutasse l'accordo.

L'irreversibilità dell'unione monetaria è stata incrinata nel momento in cui l'ipotesi di Wolfgang Schäuble di un'uscita temporanea di Atene ha trovato spazio in un documento ufficiale europeo. L'uscita dall'euro è diventata così un'opzione che i partiti anti-europei possono considerare realmente, purché accettino di seguire gli incredibili patimenti occorsi in Grecia negli ultimi sei mesi.
Sono passati 20 anni da quando Schäuble e Karl Lamers presentarono il progetto di unione monetaria a due velocità. Un Kerneuropa costituito da Germania, Francia e Benelux avrebbe proceduto all'integrazione. La periferia sarebbe entrata una volta in grado di tenere il passo delle economie più omogenee. Lamers poi convinse il cancelliere Kohl a includere l'Italia fin dall'inizio e a quel punto il disegno di Schäuble si arenò nel generale ottimismo che circondava il progetto dell'euro. Ma, accettando che la moneta unica prendesse vita tra economie non omogenee, si fermò allora anche il progetto di un'integrazione politica
più stretta.
Schäuble non ha perso di vista l'obiettivo di un'integrazione politica tra paesi europei omogenei. Per questa ragione sul tavolo di Bruxelles, in termini generali il ministro ha fatto intravvedere lo scambio tra l'uscita della Grecia e qualche grado di integrazione in più tra i paesi più solidi. La contropartita che la Germania offriva era qualche forma di mutualizzazione attraverso un fondo comune di garanzia per i depositi bancari o un'assicurazione comune contro la disoccupazione.
Nel primo caso si sarebbe completata la struttura dell'unione bancaria, stabilizzando il credito dell'euro-area. Nel secondo caso, si sarebbe creato il primo strumento comune di gestione anti-ciclica della politica economica, in grado di attenuare le divergenze tra le economie. Non sarebbe ancora stato il passaggio verso l'unione fiscale o verso gli eurobond. Ma sarebbe stata comunque una notevole offerta di solidarietà e di condivisione di rischi legati all'instabilità economica e finanziaria, spesso conseguenza di mala-gestione della politica nazionale.
Di più era impossibile, dopo sei mesi in cui la trattativa greca ha azzerato la fiducia. Sull'unione fiscale, d'altronde, come negli anni Novanta grava l'ombra del debito italiano. L'instabilità politica del nostro paese e l'emergere di forze anti-europee non consentono a Berlino di escludere un rischio fiscale che nemmeno la Germania potrebbe reggere.
Nel corso della trattativa di Bruxelles, a opporsi allo scambio, sono stati proprio Francia e Italia. Da parte di Hollande la motivazione non è stata solo quella di frenare un progetto in cui vede caratteri egemonici e che infrange la finzione dell'equilibrio tra Parigi e Berlino. Per arginare la minaccia di Marine Le Pen, Hollande ritiene infatti di non poter accettare maggiore condivisione di sovranità. Il presidente francese è stato molto lodato per aver evitato il Grexit, ma non è nota una sola proposta francese che contribuisse a risolvere i problemi dell'economia greca in modo diverso dalla severa ricetta tedesca. L'iniziativa è ormai saldamente nelle mani di Berlino, che è tutt'altro
che isolata.
In questo contesto la posizione italiana è incredibilmente delicata e dovrebbe essere elaborata con visione strategica. Roma deve essere in grado di valorizzare l'aspirazione di Berlino a un'integrazione più stretta da cui l'Italia beneficerebbe più di chiunque altro. Ma deve anche allontanarsi dal rischio di essere affiancata ad Atene come paese troppo rischioso per non essere esposto al rischio di uscita. In fondo l'Italia avrebbe molto da interrogarsi se dovesse applicare le riforme incluse nel memorandum di Atene ai propri problemi endemici e mai debellati di inefficienza, criminalità e corruzione. Una riflessione sulla parte indispensabile delle riforme è ora più giustificata vista la debacle del negazionismo populista.

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