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L’Europa, la Grecia e la cura inefficace

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DEBITO E AIUTI

L’Europa, la Grecia e la cura inefficace

Il Parlamento greco ha approvato le prime riforme. Ma possiamo finalmente dire che l’uscita della Grecia dall’euro è scongiurata? Purtroppo la risposta è no. La Grecia resterà comunque più che mai con un piede dentro e uno fuori, e nella migliore delle ipotesi ci resterà a lungo.
La ragione è che il nuovo programma di aiuti ripropone una cura che si è già rivelata inefficace. A differenza degli altri Paesi del Sud Europa, la Grecia non è mai riuscita a risollevarsi dalla crisi, per diverse ragioni che non dipendono solo dalla mancata attuazione delle riforme necessarie.

1. L’austerità fiscale, per quanto inevitabile, ha contribuito ad affossare l'economia. In cinque anni la Grecia ha ridotto il suo disavanzo primario di circa il 10% del Pil. Ma per farlo ha dovuto attuare provvedimenti che, al netto del ciclo economico, corrispondono a un risanamento fiscale di circa il doppio, molto più che negli altri Paesi del Sud Europa.
2. A fronte del crollo della domanda interna, non vi è mai stata una ripresa delle esportazioni. Questo riflette la struttura produttiva dell’economia greca e la quasi totale assenza di un settore manifatturiero.
3. Il rischio di uscita dall’euro e l’incombenza di un debito insostenibile hanno mantenuto un clima di incertezza, aggravato la stretta creditizia, e scoraggiato ogni investimento.

Quasi tutti questi problemi rimangono invariati, anzi la situazione economica è peggiorata, e il nuovo programma di aiuti fa ben poco per risolverli. La stretta fiscale è stata accentuata. Le riforme strutturali, per quanto necessarie, avranno un effetto sulle esportazioni solo nel lungo termine. Il debito non è stato ridotto e resta insostenibile, come ha sottolineato il Fondo monetario internazionale.
Il rischio di uscita dall’euro rimane più incombente che mai. Il programma di reperire 50 miliardi da privatizzazioni è palesemente irrealizzabile (negli ultimi quattro anni le privatizzazioni sono state in media meno di un miliardo all’anno).

A tutto questo si aggiunge l’incertezza politica, con elezioni forse imminenti, e un governo inaffidabile. L’unica novità importante è che le banche saranno ricapitalizzate, sebbene i 25 miliardi promessi a questo scopo potrebbero essere insufficienti.
Dopo l’incomprensibile referendum greco, i Paesi creditori avrebbero dovuto scegliere tra due alternative: rinunciare a dare altri aiuti, assistendo la Grecia nell’uscita dall’euro; oppure tenerla dentro, per ragioni politiche e di solidarietà, ma risolvendo una volta per tutte l’incertezza sul suo futuro. Questo secondo risultato avrebbe richiesto ulteriori risorse, non solo per ricapitalizzare le banche, ma anche per ridurre in modo significativo lo stock di debito. La scelta era tutt’altro che facile, essendovi validi argomenti a favore e contro entrambe le alternative.

Si è invece optato per una via di mezzo, che evita per ora il trauma dell’uscita, ma che non risolve i problemi. I Paesi creditori devono comunque farsi carico di ricapitalizzare le banche e far fronte alle scadenze del debito. Essi resteranno a lungo invischiati nel cercare di imporre la condizionalità a un Paese che non vuole o non sa attuare le riforme. E tra qualche mese, quando sarà evidente che la Grecia non sarà riuscita a rispettare gli impegni, si ricomincerà a parlare di uscita dall’euro. L’unico vantaggio, se di vantaggio si può parlare, è che si è data una tale lezione a Tsipras, che forse per un po’ nessun altro in Europa avrà voglia di imitarlo.
Ma il costo più grande di questo compromesso è che, fino a che la questione della Grecia resterà aperta, sarà molto difficile avviare una discussione adeguata su come dare fondamenta più solide alla moneta unica. Eppure è questa, ben più della Grecia, la sfida più importante per il nostro futuro.

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