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ANALISI

Taglio delle tasse, quel sentiero stretto (ma praticabile) delle coperture

Prioritario e urgente il taglio delle tasse sugli immobili, annunciato ieri dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi a partire dal 2016, al pari dei nuovi interventi che si delineano su Irap, Ires e Irpef nel 2017-2018, per un totale di 45 miliardi nel triennio. Sentiero stretto ma praticabile, considerato che per la casa ben 25,2 miliardi sono garantiti dal combinarsi di Imu e Tasi. Ma dove recuperare le risorse, che a conti fatti non saranno inferiori ai 4-5 miliardi e solo per la prima parte della “rivoluzione copernicana” sul fisco che il premier si dice pronto ad avviare? L'aspetto delle coperture è decisivo, per rendere credibile e strutturale il taglio delle tasse e non incorrere nei diktat di Bruxelles.

Occorrerebbe incrementare la “dote” della spending review, poiché i 10 miliardi indicati dal Documento di economia e finanza sono già interamente “prenotati” per disinnescare la clausola di salvaguardia (aumento dell'Iva e delle accise) che altrimenti scatterà dal prossimo 1° gennaio. Gli altri 6 miliardi (la clausola ne vale in tutto 16,2) saranno coperti grazie alla flessibilità sulle riforme accordata da Bruxelles, che consentirà nel 2016 di ridurre dallo 0,5% allo 0,1% il taglio del deficit strutturale. Contenere ulteriormente la spesa per 5 miliardi pare a bocce ferme operazione a dir poco complessa.

L'arma di riserva che il Governo potrebbe far valere in sede di trattativa con la Commissione europea riguarda l'utilizzo di un ulteriore margine di deficit nominale che passerebbe dall'1,8% programmato per il prossimo anno al 2,1-2,2 per cento. Operazione tecnicamente possibile, a patto che il Governo si impegni comunque a garantire il taglio del deficit strutturale così da conseguire comunque il pareggio di bilancio nel 2018. La spinta sulla domanda interna favorita dal taglio delle tasse potrebbe aprire la strada a tassi di crescita più sostenuti già nel 2016 (per ora il Pil è previsto in aumento dell'1,4 per cento).

In un'Eurozona di fatto obbligata a cambiare passo, si potrà forse cominciare ad allentare ulteriormente la morsa sul rispetto di alcuni decimali di deficit per quei paesi che comunque rispettano i target di bilancio e proseguono sulla strada delle riforme. Terreno praticabile ma da percorrere con estrema prudenza, per un paese che deve finanziare con 70-80 miliardi ogni anno il proprio debito. Rialzi significativi dello spread costringerebbero a una rapida retromarcia rispetto ai sacrosanti obiettivi di riduzione della pressione fiscale enunciati ieri dal premier.

E tuttavia è una scommessa sulla quale occorre puntare tutte le carte a disposizione, utilizzando i margini di trattativa in sede europea, un'accorta e selettiva azione di contenimento e riqualificazione della spesa corrente, l'intensificarsi della lotta all'evasione fiscale. Potranno soccorrere anche gli incassi attesi dalla “voluntary disclosure”, favoriti dal dispositivo introdotto due giorni fa nel decreto legislativo in materia di certezza del diritto. Con alcuni caveat, poiché al momento non vi sono certezze sull'entità del gettito e va comunque garantita la copertura (728 milioni) necessaria a far fronte alla bocciatura da parte di Bruxelles dell'estensione del “reverse charge” alla grande distribuzione (la clausola di salvaguardia pronta a scattare lo scorso 1° luglio con l'aumento delle accise sulla benzina è stata per ora solo rinviata a dopo l'estate).

In più dal 2016 occorrerà individuare la copertura di 500 milioni per gli effetti della sentenza della Consulta sul blocco della rivalutazione delle pensioni 2012-2013, cui quest'anno si è fatto fronte con una spesa di 2,2 miliardi (2,8 miliardi di trasferimenti all'Inps cui vanno sottratti 659 milioni di maggior gettito Irpef atteso dai rimborsi che scatteranno in agosto). Ed è ancora da definire l'impatto in termini finanziari della riapertura del confronto con i sindacati sui contratti del pubblico impiego.

Pur con questi paletti, il combinarsi delle diverse misure da mettere in campo con la prossima legge di stabilità potrà produrre effetti già dal 2016. Meno tasse, più flessibilità europea e una coraggiosa spending review sono gli ingredienti di un menu da miscelare con cura per far uscire finalmente il paese dalle secche di una lunga stagnazione, seguita da tre anni di recessione.

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