Commenti

Misurare per decidere

  • Abbonati
  • Accedi
analisi

Misurare per decidere

Ancora una volta è la società civile (talvolta nella forma di associazioni o fondazioni private) a esprimere una domanda di conoscenza sulla qualità delle istituzioni formative.

A moltissimi genitori sarà sicuramente capitato di domandarsi se la scuola A sia meglio della scuola B, e molti genitori si saranno posti l’interrogativo se l’università C sia davvero migliore dell’università D, al punto da giustificare le spese di trasferimento fuori sede dei
propri figli.

Per contro, si continua a registrare una comprensibile resistenza da parte degli enti pubblici alla piena divulgazione dell’informazione statistica disponibile, nel timore di incoraggiare una fuga da alcuni enti e un eccesso di domande di iscrizione verso altri. Sono però forse maturi i tempi per fare un passo in avanti nel dibattito tra sostenitori e oppositori delle graduatorie tra enti formativi, per passare a discutere del contenuto e della interpretazione di queste graduatorie.

Collocare le variabili

Un primo punto che occorre richiamare al riguardo è che qualunque variabile non può essere interpretata singolarmente, ma deve essere collocata, implicitamente o esplicitamente, in un modello interpretativo. L’esercizio proposto nelle pagine precedenti utilizza 12 indicatori, scelti sulla base dei dati esistenti con adeguata copertura e tempestività, riscalati per garantirne la comparabilità e aggregati con il principio di ugual peso, al fine di limitare l’arbitrarietà dell’analista.

Tuttavia essi ci forniscono una fotografia media dell’ateneo medio, senza alcun riferimento alle possibili differenze di strategie che gli atenei possono aver messo e mettere in atto.

Se un ateneo ha scelto un orientamento professionalizzante della propria offerta formativa, occorrerebbe misurarlo dando più peso agli indicatori relativi al mercato del lavoro («Tasso di studenti in cerca di lavoro a un anno dal titolo» e «Percentuale di crediti ottenuti in stage sul totale»). Se un ateneo ha scelto di privilegiare la dimensione della attrattività di studenti, occorrerà prestare attenzione agli indicatori relativi a «Percentuale di immatricolati fuori regione sul totale degli immatricolati» e/o «Percentuale di crediti ottenuti all’estero sul totale».

Oppure ancora, se un ateneo punta all’eccellenza scientifica dovremmo osservarlo e misurarlo secondo la lente degli indicatori relativi a «Giudizi ottenuti dai prodotti di ricerca nella valutazione Anvur», «Capacità di attrazione di risorse per progetti di ricerca» e anche «Giudizi ottenuti dall’alta formazione (dottorandi) nella valutazione Anvur».

Comunicare i risultati

Se conveniamo quindi che non esista una definizione univoca della qualità di un ateneo, perché questa è un fenomeno multidimensionale, ne consegue che ogni potenziale utente può formarsi un’idea della qualità a partire dalle proprie esigenze ed aspirazioni. Tuttavia questo non significa che il processo di informazione e comunicazione non debba essere guidato dal ministero dell’Istruzione. Attraverso la scelta e la divulgazione degli indicatori si guida la formazione delle opinioni del pubblico, e in ultima analisi si influenzano anche le strategie scelte dagli atenei.

Un esempio per tutti: quando si presentano indicatori basati sulla velocità di carriera degli studenti (come per esempio la «Media dei crediti formativi ottenuti in un anno per studente iscritto», o il riferimento agli «studenti in corso» utilizzato per il calcolo dei costi standard nella ripartizione del finanziamento pubblico degli atenei) si sta segnalando l’efficienza del processo didattico come priorità nella valutazione della qualità degli atenei. Molta dell’azione valutativa della didattica svolta in questi anni da Anvur ha privilegiato una dimensione procedurale, giocata principalmente sul piano di autovalutazione da parte dei docenti responsabili della didattica.

Questa prassi risponde alla legittima esigenza di preservare il più possibile l’omogeneità di sistema della formazione terziaria nel nostro paese. Ma non è senza costi, perché limita implicitamente l’autonomia universitaria nella scelta dei propri obiettivi strategici di posizionamento nel “mercato” della formazione superiore.

Per paradosso, immaginiamo invece una situazione in cui il ministero annunci due sole dimensioni rilevanti: occupabilità dei laureati (ovviamente al netto delle condizioni locali del mercato del lavoro) e produttività scientifica dei docenti. Sulla base di questi indicatori vengano di conseguenza pubblicizzate le graduatorie degli atenei. La semplificazione del quadro valutativo indurrebbe ciascun ateneo a scegliere una strategia di posizionamento, alla luce delle competenze possedute e della propria tradizione culturale. La modalità attuativa verrebbe lasciata all’autonomia locale, mentre il governo di sistema continuerebbe a essere mantenuto dal centro. Questo potrebbe cambiare significativamente il quadro sia per gli studenti che per i docenti:

- i primi dovrebbero implicitamente rivelare (attraverso le proprie scelte) il peso che attribuiscono al trovare un lavoro rispetto all’opportunità culturale offerta dal seguire lezioni impartite da docenti con elevato impatto scientifico;

- i secondi dovrebbero a loro volta scegliere se mettere a frutto la propria capacità didattica o piuttosto la propria capacità di ricerca.

Questa prospettiva viene spesso osteggiata perché si teme una graduale stratificazione del sistema universitario. In realtà, si tratta di utilizzare nel modo più efficiente le risorse disponibili, in termini di docenti e discenti. Rimane comunque al decisore politico decidere premi e remunerazioni delle diverse configurazioni. Se conseguire gli obiettivi di Lisbona 2020 (quali il raggiungimento di almeno il 40% dei giovani con titolo terziario) diventa una priorità governativa, le risorse andranno prioritariamente assegnate sulla base dei risultati della attività formativa. Se viceversa si intende rafforzare la competitività scientifica e tecnologica del paese, occorrerà fare l’operazione inversa.

In entrambi i casi la semplificazione nella scelta di obiettivi finali in termini di risultato favorirebbe la trasparenza delle scelte e un utilizzo migliore delle competenze a disposizione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

© Riproduzione riservata