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I mercati superano i casi Grecia e Cina

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L'ANALISI

I mercati superano i casi Grecia e Cina

Se i mercati dovessero preoccuparsi di tutti i potenziali eventi negativi in giro per il mondo, dovrebbero solo scendere. O stare fermi. Invece, Borse, obbligazioni e titoli di Stato hanno ripreso allegramente a crescere: perché il caso Grecia è «risolto», il rischio Cina è «dissolto» o, quanto meno, pare dissiparsi.
Inoltre, anche il terzo motivo di preoccupazione, ossia un brusco rialzo dei tassi d'interesse negli Stati Uniti, sarebbe stato assimilato e già archiviato come male minore. Anzi, nemmeno come un male, ma come un condizione necessaria. Perché la Fed farà sì la sua prima mossa a settembre, dopo oltre 5 anni di tassi congelati a zero, ma sarà un ritocco di facciata: 25 centesimi con i quali mostrerà d'aver fatto il suo dovere. E i mercati si sentiranno rassicurati per un periodo ancora più lungo.

Di tal genere sono i ragionamenti dei mercati, che riflettono la qualità di chi opera in questo momento: trader di breve periodo che per lo più si affidano ai programmi automatizzati e ad algoritmi che lavorano sugli input ricevuti da poco problematici operatori. Non a caso gli scambi sono quasi dimezzati in Italia e in Europa e alquanto ridotti a Wall Street. Della presenza di investitori pensanti, ossia dei gestori di hedge fund e dei rari gestori di fondi che nei loro portafogli si rifiutano di replicare un indice, sembra non esserci traccia. Non è strano, perché l'affidarsi alle macchine e porsi un orizzonte di qualche giorno è semmai la regola, specie sulle borse.

Per un po' di tempo è inutile guastarsi l'umore ragionando sulla natura dell'accordo greco, che lascia le cose come stanno e fa solo slittare di qualche mese l'insolvenza del Paese. Ed è controproducente farsi angustiare dal rischio Cina: ben sapendo che a sostenere la Borsa di Shanghai sono state l'artificiosa mano della Banca del Popolo e la volontà del Governo cinese. C'è anche chi trova motivo di ottimismo negli utili aziendali a Wall Street che, per quanti si pongono orizzonti di giorni, appaiono «migliori del previsto: perché nel 2° trimestre calerebbero solo del 2,2% (dati Thomson Reuters), mentre 20 giorni fa ci s'aspettava un meno 3%. Dimenticando ovviamente che a inizio anno si pensava salissero del 6% e quelli dell'intero 2015 dell'8,1%: mentre, se va bene, resteranno fermi.

È appena di una settimana fa un sondaggio di Bank of America tra i maggiori gestori di fondi internazionali. Oltre il 20% diceva che erano le crisi geopolitiche ad inquietarli; altrettanti erano allarmati dalla Fed e un bel 19%, per la prima volta dopo almeno 2-3 anni, temeva il rischio che l'Eurozona si sgretolasse. Quando si è ottimisti è inutile preoccuparsi troppo e fasciarsi la testa prima di rompersela. L'Eurozona si frantumerà? Forse sì, ma sarà questione di qualche anno. Scoppierà la bolla cinese, anzi le bolle? È quasi certo. Ma non nel breve e del resto sono quasi due lustri che ce lo chiediamo. E i tassi Fed? Ci vorrà parecchio tempo prima di vederli normali, se l'inflazione resta sotto il 2 per cento.

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