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La svolta coraggiosa nella politica fiscale

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RENZI, TASSE E LAVORO

La svolta coraggiosa nella politica fiscale

Rivoluzione copernicana? Così Renzi ha definito il suo progetto di abbattere la pressione fiscale di 45 miliardi in 3 anni, da qui al 2018.
Forse l'analogia è un po' sproporzionata se pensiamo a quel che fece Copernico (togliere la terra dal centro del cosmo): un po' di pressione fiscale in meno è davvero un nonnulla, un fatterello di cui nessuno si ricorderà in futuro, se non altro perché negli ultimi 35 anni fatterelli del genere si sono ripetuti in diversi Paesi capitalistici, e nessuno dei politici che ha ridotto di qualche punto la pressione fiscale si è mai paragonato a Copernico.

E tuttavia c'è un senso in cui Renzi ha perfettamente ragione a sottolineare la discontinuità, la “rupture” implicita nel suo gesto: la riduzione delle tasse lui la promette come leader del Pd, ossia di un partito di sinistra, erede del partito comunista italiano. Renzi non dice soltanto «il mio governo vi toglierà 45 miliardi di tasse», ma dice che sarà il Pd a voler fare questo, e che il Pd «non sarà mai più il partito delle tasse». Qui l'enfasi è giustificata: abbattere la pressione fiscale di 2-3 punti di Pil non è niente di straordinario, ma farlo in Italia, con un partito da sempre assetato di gettito fiscale come finora è stato il Pci-Pds-Ds-Pd, sarebbe davvero un'impresa eroica.

Io spero che Renzi ce la faccia, anche se sono incline a pensare che le cose finiranno per andare come finora sono andate, pure sotto Renzi (vedi i conti pubblici trimestrali Istat usciti il 1° luglio): alcune tasse verranno abolite, alcune aliquote verranno tagliate, ma le coperture saranno trovate soprattutto in altre tasse, o nella eliminazione delle innumerevoli agevolazioni (le cosiddette tax expenditures) che costellano la nostra legislazione fiscale. La pressione fiscale potrà scendere, ma non nella misura promessa (3 punti di Pil), se non altro perché già solo evitare l'aumento dell'Iva nel 2016 e nel 2017 avrà dei costi notevoli.

Ma il fatto che le promesse di Renzi siano poco credibili nella loro dimensione quantitativa (sono pronto a scommettere che nel 2018 non pagheremo 45 miliardi di tasse in meno rispetto ad oggi) non significa che il percorso delineato da Renzi non sia di estremo interesse nel suo impianto logico, ossia come strategia di politica economica.
C he cosa dice Renzi?
Primo passo (2016): abolizione totale, ossia per tutti (ceto medio e poveri), delle tasse sulla prima casa (Imu e Tasi).
Secondo passo (2017): riduzione di Ires e Irap.
Terzo passo (2018): intervento sull'Irpef e sulle pensioni.

Questa gerarchia è una novità assoluta, e rende la politica fiscale di Renzi sostanzialmente diversa sia da quelle classiche del suo partito, sia da quella di Berlusconi. La differenza con le politiche passate del Pd è evidente: detassare la prima casa anche ai ceti medio-alti, e ridurre Ires e Irap (due tasse che gravano sulle imprese e sulle partite Iva) prima di intervenire sull'Irpef e sulle pensioni vuol dire andare contro l'intera storia della sinistra e dello stesso Pd. Meno evidente è la rottura con l'impostazione di Berlusconi. Tutti ricordiamo che l'idea di eliminare per tutti la tassa sulla prima casa è un'idea, anzi una realizzazione, di Berlusconi (in questo Renzi copia), ma forse non tutti ricordano che l'abbattimento della pressione fiscale promesso da Berlusconi nel “Contratto con gli italiani” del 2001 non riguardava né l'Ires (che allora di chiamava Irpeg) né l'Irap, ma si concentrava sull'Irpef, di cui si proponeva la semplificazione con 2 aliquote, una al 33%, l'altra al 23%.

Questo significa che il programma fiscale di Berlusconi era rivolto primariamente alle famiglie, mentre quello di Renzi si rivolge innanzitutto ai produttori. O meglio: il programma fiscale di Renzi, dopo aver puntato sulle famiglie dei lavoratori dipendenti nel 2014 (per acchiappare voti alle Europee), ora affida la ricerca del consenso alla eliminazione della tassa sulla prima casa (che costa poco), mentre per il resto punta le sue carte su un alleggerimento della pressione fiscale sui produttori, ovvero imprese, professionisti, partite Iva in genere, e solo secondariamente (nel 2018) torna ad occuparsi delle famiglie.

Questo significa che Renzi sta spostando a destra la politica economica del Pd?
Direi proprio di no. L'abolizione integrale delle tasse sulla prima casa si limita a correggere un errore del passato, che molto ha contributo a deprimere il mercato immobiliare, ridurre il valore delle case, aumentare il senso di insicurezza degli italiani, e per questa via disincentivare i consumi (secondo diversi studi il calo dei consumi degli ultimi anni è anche dovuto alla perdita di valore delle case). Quanto alla priorità data a Irap-Ires rispetto all'Irpef essa è più che mai una scelta pro-labour, nel senso letterale di scelta per il lavoro: dare ossigeno ai produttori è il modo migliore per favorire la creazione di posti di lavoro nuovi e soprattutto veri, non assistenziali.

Da questo punto di vista, piuttosto, si potrebbe dire che il primo Renzi, quello degli 80 euro in busta paga, era ancora vetero-Pci (e infatti ebbe il plauso dei sindacati), mentre l'ultimo Renzi, che pensa ad alleggerire i bilanci dei produttori prima che quelli delle famiglie, è lontanissimo dalla vecchia sinistra tassa-e-spendi, ma lo è pure dalla vecchia destra Berlusconi-Casini-Fini, che guardava soprattutto alle famiglie, e una vera rivoluzione fiscale a sostegno dei produttori non l'ha mai messa in atto. Quella di Renzi appare una politica di destra ai nostalgici che pensano ancora con le categorie del '900, ma in realtà è solo un primo passo per portare il Pd all'altezza dei problemi del nuovo secolo. Ad essa, semmai, un sindacato e una sinistra moderne potrebbero obiettare che, per il 2016 (anno in cui verrà meno la decontribuzione sui nuovi assunti) prevedere solo l'abolizione delle tasse sulla prima casa è troppo poco. I disoccupati sono ancora 3 milioni, e i posti di lavoro che mancano all'Italia per diventare un paese Ocse normale sono ancora 6. È su questo, più che sui miliardi di tasse in meno, che Renzi e il suo Pd verranno alla fine giudicati dagli elettori.

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