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L’Europa in ordine sparso non salverà l’Europa

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DOPO IL RISCHIO GREXIT

L’Europa in ordine sparso non salverà l’Europa

Il giorno dopo aver evitato l’uscita della Grecia, i governi di Germania, Francia e Italia hanno tratto dalla vicenda tre lezioni molto diverse l’una dalle altre. Berlino ha mantenuto di fatto aperta l’opzione dell’uscita dall’euro dei Paesi divergenti; il presidente francese Hollande invece ha proposto la costruzione di un governo economico dell’euro-area; il governo italiano infine ha annunciato un taglio delle tasse da 45 miliardi.
Non è rimasto molto del fronte unito che l’estenuante trattativa con Atene aveva creato tra gli altri 18 governi su una linea di intransigenza. La Grecia d’altronde era doppiamente eccentrica: da un lato la sua economia non teneva il passo, dall’altro il governo non riconosceva i vincoli istituzionali dell’euro-area. Non era facile su queste basi trovare un compromesso. Ma aver isolato Atene, come un caso unico ed eccezionale, non ha creato identità di vedute tra gli altri Paesi. La vicenda greca non ci dice come evolverà l’euro-area nei prossimi anni. Non sappiamo cioè se il principio ispiratore che governerà la relazione tra i Paesi sarà il terrore dell’azzardo morale (comportamenti indisciplinati a scapito d’altri),oppure la volontà di condividere i rischi che mettono naturalmente in squilibrio un’area monetaria ampia e disomogenea, o infine un uso flessibile e non concordato delle regole. Non a caso, le posizioni espresse nelle ultime ore da Berlino, Parigi e Roma appaiono disallineate.

Eppure la lezione greca dovrà dar luogo a una riflessione comune. La vicenda mette in questione infatti il metodo sottinteso di gestione politica della crisi. Finora si era deciso di non preoccuparsi troppo della legittimazione delle politiche europee adottate dai Paesi perché sarebbe stata la loro riuscita a creare consenso e in un secondo tempo a legittimarle democraticamente. Il conflitto tra legittimazione e insuccesso è invece esploso in Grecia, in uno scambio reciproco di recriminazioni, ma è latente anche altrove.
Negoziati interminabili conclusi sempre solo sull’orlo del burrone, scardinano il consenso per le riforme e ne ritardano o annullano gli effetti.
Un calcolo sui riflessi politici delle recessioni mostra che dopo un periodo piuttosto breve - tra 6 e 24 mesi - disoccupazione, austerità fiscale e sfiducia dei consumatori danno vento alle vele dei partiti anti-sistema o anti-europei. La Grecia dimostra che quando questi movimenti diventano maggioranza, il negoziato con i partner assume forme traumatiche.
Adottare politiche economiche anti-cicliche che abbiano effetti rapidi quindi può essere necessario per evitare che il consenso politico nell’euro-area si disgreghi. Ma tali politiche sono sostenibili solo se accompagnano e facilitano riforme dal lato dell’offerta, migliorando l’interazione tra lavoro e capitale, toccando cioè i punti di maggiore sensibilità politica. Il difficile equilibrio tra politiche europee di stimolo della domanda (compreso l’uso di margini di “flessibilità” nelle regole) e riforme strutturali nazionali è tipico di un’azione di governo vera e propria: richiede risorse e responsabilità politiche condivise, nonché verifiche e talvolta tempi che superano le legislature.

Queste riflessioni hanno linguaggio diverso in ogni Paese, ma il loro impianto è più condiviso di quanto si creda. Dietro l’intransigenza di Schäuble si nasconde (piuttosto bene...) un fiero europeismo che ha come obiettivo l’unione politica tra Paesi in grado di condividerne scelte e conseguenze. Dietro la proposta Hollande c’è una strategia politica che finora era mancata: quella di non retrocedere nell’integrazione per inseguire i nazionalisti del Front, ma di spiazzarli facendo avanzare il progetto europeo. I partecipanti al dialogo istituzionale europeo si stanno dunque schierando.
Questo è lo scenario nel quale si inserisce la proposta italiana di intervento sull’imposizione fiscale. Il percorso triennale di stimolo fiscale richiede come minimo di essere accompagnato dalle riforme che riguardano la spesa, a cominciare da pubblica amministrazione e spending review. Ma un orizzonte pluriennale impone anche di considerare le altre riforme di cui tutti ci riempiamo la bocca e che devono alzare il tasso di crescita potenziale dell’economia. Mi chiedo se non sarebbe stato più opportuno presentare la popolare iniziativa fiscale del governo integrata da una tempistica altrettanto precisa del piano di riforme. Calata nel contesto istituzionale europeo, l’iniziativa di Matteo Renzi sarebbe stata l’occasione per avanzare un comportamento esemplare che desse forma anche al futuro dell’euro-area.

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