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La «mela» che rischia di avvelenare Wall Street

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L’ANALISI

La «mela» che rischia di avvelenare Wall Street

Apple pubblica l’ennesima trimestrale da record, supera le previsioni degli analisti, ma il mercato non si accontenta di tanta abbondanza: penalizza in modo sonoro i titoli dell’azienda di Cupertino e con essi anche il resto dei tecnologici Usa. Anzi, non si ferma lì visto che a caduta soffre tutta Wall Street. Non c’è molto da stupirsi in tutto questo, perché è noto che gli investitori guardano al futuro (o almeno dovrebbero farlo) piuttosto che al passato e hanno ravvisato note poco rassicuranti sui ricavi e sulle prospettive di vendita degli iPhone, che resta poi di gran lunga l’attività principale per Apple.
E non sorprende neanche la reazione a catena innescata dal tonfo delle azioni della mela, perché è risaputo il peso che queste hanno a Wall Street. Può essere però ugualmente utile soffermarsi su qualche dato per capire quanto conti davvero Apple: qualche giorno fa gli analisti di Factset ricordavano non solo che la società californiana fornisce il principale contributo alla crescita degli utili del settore tecnologico, ma anche che se si sottraesse il suo apporto i guadagni realizzati dall’high-tech made in Usa nel primo trimestre del 2015 sarebbero scesi del 5,3% e non cresciuti dello 0,7% rispetto all’anno precedente. E per il trimestre successivo, stando ai bilanci già comunicati e alle attese per quelli che ancora devono arrivare, l’impatto secondo Factset è altrettanto rilevante: con Apple gli utili aumentano su base annua dello 0,2%, senza precipiterebbero addirittura del 6 per cento.

In altre parole, la crescita imponente del settore tecnologico che ha contribuito a riportare l’indice Nasdaq sui livelli dello scoppio della bolla del 2000 si basa essenzialmente sulla sola società fondata da Steve Jobs e Steve Wozniak: se il suo motore si dovesse improvvisamente inceppare i pessimisti che pensano che si stia creando un nuovo castello di carta proprio come 15 anni fa potrebbero davvero non avere tutti i torti.
Anche al cospetto dell’intera Wall Street la rilevanza di Apple impressiona e inquieta allo stesso tempo: poco dopo la diffusione dei dati trimestrali il Wall Street Journal ricordava non solo che, prima dello scivolone di ieri, quasi un terzo della performance positiva del 3,5% realizzata da inizio anno dall’indice S&P 500 fosse legata alle performance del titolo del gruppo californiano. Ma sottolineava anche che ormai da quattro anni il contributo di Apple al monte utili complessivo a stelle e strisce non scende sotto il 3%, cioè il doppio rispetto all’apporto di big del calibro di Jp Morgan, Microsoft o Ibm. Ancora la stessa Factset rincara la dose avvertendo che se Apple non esistesse, la contrazione degli utili che ci si attende dalla corporate Usa nel secondo trimestre 2015 sarebbe del 6,7% e non del 3,5% appena.

Gli investitori hanno dunque evidenti motivi per preoccuparsi se le cose per Apple dovessero smettere di girare per il verso giusto. E anche per dare un’occhiata sospettosa a ciò che sta avvenendo a Shanghai e sui suoi mercati: dopotutto la Cina resta il principale acquirente di iPhone al di fuori degli Stati Uniti.

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