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Nuova governance dell'Eurozona

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oltre la crisi

Nuova governance dell'Eurozona

Come mai era avvenuto nel passato, la politica è entrata nell'Eurozona. Quest'ultima si è politicizzata sotto l'urto di movimenti politici che ne hanno messo in discussione sia l'efficienza che la legittimità. Le durissime condizioni imposte al governo greco guidato da Alexis Tsipras costituiscono la risposta a quei movimenti, oltre che la punizione di un governo che ha minato la fiducia tra i partner dell'unione monetaria. È un bene che l'Eurozona si sia politicizzata, perché la sua legittimità non può basarsi sui tecnicismi e convenienze. Non è un bene però che tale politicizzazione assuma un carattere esclusivamente difensivo. Non si contrastano i movimenti anti-euro spaventando i loro potenziali elettori. Quegli elettori vanno conquistati facendo in modo che l'Eurozona funzioni secondo criteri di efficienza democratica. L'Eurozona ha bisogno di consenso, non già di paura.

Il consenso si costruisce innanzitutto riconoscendo il problema e quindi proponendo soluzioni democratiche per risolverlo. Sull'esistenza del problema, c'è poco da cincischiare. Grexit continua ad essere un esito possibile e, con esso, la disintegrazione della unione monetaria. Come ha scritto pochi giorni fa Jacques Delors (su Le journal du dimanche), il sistema attuale dell'Eurozona “non è più governabile. Così come è non può durare. Occorre rifondare l'unione economica e monetaria… in quanto c'è stato un vizio di costruzione alla sua partenza”. Sulla soluzione del problema, c'è invece molto da discutere. La strategia che si sta affermando come dominante, quella sostenuta dalla Germania e dai suoi alleati del Nord e dell'Est, appare infatti del tutto insoddisfacente. Jurgen Habermas l'ha definita come la strategia del ‘federalismo esecutivo', io la chiamerei piuttosto del ‘federalismo dei governi nazionali'. Si tratta di una strategia di approfondimento dell'integrazione senza che ciò implichi un rafforzamento degli organismi sovra-nazionali (come la Commissione, il Parlamento Europeo e la stessa Corte Europea di Giustizia). La sua logica è intergovernativa in quanto affida il potere di governo dell'euro agli organismi che coordinano i governi nazionali a Bruxelles (l'Euro Gruppo dei ministri finanziari e l'Euro Summit dei capi di governo). Per i sostenitori di questa strategia, l'Eurozona potrebbe funzionare perfettamente così come è, se fosse costituita di economie nazionali relativamente comparabili o comunque impegnate a convergere verso comuni parametri macro-economici e fiscali. Ma siccome così non è, essa deve dotarsi di strumenti centralizzati di controllo dei bilanci dei paesi dell'Eurozona, strumenti che debbono prevedere interventi punitivi nei confronti di chi non rispetta quei parametri. Il ministro delle finanze tedesche Wolfgang Schaueble, che è il più convinto sostenitore di questa strategia, ha in più occasioni sostenuto la necessità che i Paesi dell'Eurozona rinuncino alla loro sovranità sulle politiche di bilancio, a favore di un ministro europeo delle finanze, scelto dai ministri finanziari dei governi nazionali, che dovranno a loro volta controllarlo.
Per Schaueble, l'integrazione sembra coincidere con la centralizzazione e la standardizzazione, secondo il modello che è stato proprio dello stato nazionale.

Se Schaueble e i suoi sostenitori sono favorevoli a trasferire a Bruxelles quote crescenti della sovranità dei paesi membri dell'Eurozona, ritengono però che tale trasferimento possa avvenire senza l'equivalente trasferimento a Bruxelles della legittimazione democratica di quella sovranità. Quest'ultima deve rimanere nei parlamenti nazionali non già trasferirsi nel Parlamento Europeo, così deve essere protetta dalle corti nazionali non già dalla Corte europea di Giustizia. Dopo tutto, il ministro europeo delle finanze dovrebbe controllare i bilanci nazionali sulla base di criteri puramente tecnici, facendo rispettare le regole fissate nei trattati o nei vari accordi intergovernativi. Né Schaueble né i suoi sostenitori sembrano riconoscere che dietro quelle regole si nascondono (o si possono nascondere) rapporti di potere tra i paesi e i loro governi. Rapporti incompatibili con un'unione di stati di carattere democratico. La sovranità consiste però di legittimazione democratica, non già di regole amministrative. Se la sovranità è il potere dell'ultima decisione, allora il trasferimento di quel potere deve essere accompagnato dall'equivalente trasferimento della sua legittimazione. Se Bruxelles prende decisioni a nome dell'unione, quelle decisioni devono essere legittimate a livello dell'unione, non già a livello dei singoli stati membri. È legittimo che l'Euro Summit (in quanto esecutivo dell'Eurozona) faccia proposte per risolvere la crisi greca, ma non lo è che tali proposte vengano sottoposto all'approvazione dei parlamenti nazionali e non di quello europeo. Si tratta di una degenerazione democratica che non potrà essere arrestata fino a quando i finanziamenti consisteranno in trasferimenti nazionali diretti.

Occorre dunque una diversa strategia per riformare la governance dell'Eurozona. Il presidente francese François Hollande ha proposto pochi giorni fa di creare un budget dell'Eurozona, sostenuto da risorse proprie e dotato di un suo governo. Siccome, però, la logica intergovernativa è nata a Parigi, sarebbe meglio andare a vedere in cosa consista la proposta francese. Ancora meglio sarebbe che tale verifica la facesse anche la società civile. Se si lascia ai soli governi nazionali la riforma della governance dell'Eurozona, è facile immaginare che essi avranno una certa resistenza a tagliare il ramo su cui sono seduti.

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