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Prima di tutto ricostruire la fiducia

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oltre la crisi ue

Prima di tutto ricostruire la fiducia

Nnel discorso berlinese del 1963 Kennedy, oltre a dire Ich bin ein Berliner, si riferì alla good faith per spiegare perché – 18 anni dopo la fine della guerra – si sentisse di condividere un destino comune con l'ex-nemico. È la mancanza di fiducia ciò che impedisce invece a Wolfgang Schäuble di dire oggi Εί«Eìmai Athenaìos». Se non la si ricostruisce, e in fretta, è impossibile uscire dalla crisi greca e dal progressivo venir meno del senso di destino comune che è alla base della costruzione europea.

La fiducia è indispensabile in finanza: chi presta ha bisogno di contratti firmati e contro-firmati e di regole certe, ma deve sentire tacitamente che il debitore è capace di far fronte al suo impegno. Il concetto ha un valore più ampio: è decente, secondo Avishai Margalit, una società in cui si ha ragione di far fiducia al prossimo e di sviluppare norme e aspettative sulla sua affidabilità. Eppure la fiducia è un concetto instabile, fondamentale e fragile insieme: la si dà e la si pretende senza essere certi di essere corrisposti. Implica accettare una certa vulnerabilità, esporsi all'altro e, come per magia, creare un legame, proprio per il fatto di essersi esposto. Il nostro dare fiducia all'altro crea una pressione normativa nella controparte: dato che ci siamo esposti, la controparte ci deve qualcosa. Così il coraggio di avere fiducia crea comportamenti virtuosi. E invece tale è la paura in Europa che gli altri non onorino la fiducia, che è meglio mollare in anticipo e accontentarsi di un risultato peggiore di quello che si sarebbe potuto ottenere facendosi fiducia reciprocamente.
Le scelte fatte per paura di farsi fiducia sono poi giustificate con norme morali inaccettabili, come quelle che tedeschi, finlandesi e altri popoli del Nord vogliono fare passare come superiori, rispetto a un Sud irresponsabile e spendaccione. Da quando la moralità si misura con il bilancino? E da che pulpito le banche dovrebbero dare lezioni di moralità? Prestare in modo irresponsabile è moralmente superiore a prendere a prestito in modo irresponsabile?

Nei primi anni del XXI secolo, tra Grecia e Europa si è fatto finta che le statistiche della contabilità nazionale potessero prendere il posto della certezza del legame sociale. Appena un coraggioso ministro ellenico – George Papaconstantinou, poi sottoposto al tritacarne delle accuse di corruzione – ha rivelato che i conti erano falsi, si è passati allincertezza strutturale, irriducibile e foriera di sfiducia reciproca. Non a caso i negoziati tra Atene e i creditori, anche prima del Carosello dei governanti senza cravatta, è parso come una giostra da equilibristi.

Come uscirne? Jacques Delors, cui il 26 giugno l'Europa ha regalato per i suoi 90 anni il titolo di cittadino d'onore (come solo Monnet e Kohl prima), parlava di concorrenza per stimolare, cooperazione per rinforzare e solidarietà per unire. Da qui la natura rivoluzionaria che certe riforme cosiddette strutturali avrebbero, in Grecia certo, ma anche in altri paesi del Mediterraneo dove s'intessono rapporti fiduciari non col rispetto dei contratti, ma facendosi l'occhiolino. Le oligarchie e le cordate di strapotenti che possono fregarsene delle regole, perché tanto se il mondo va a catafascio sarà qualcun altro a pagare, impediscono cooperazione e investimento nel futuro. Privatizzare (bene), aumentare la concorrenza, rimuovere le licenze e le autorizzazioni che non servono – tutto questo servirebbe per ricostruire la fiducia, tra creditori e debitori in generale, tra tedeschi e greci.

Ma ci vuole anche la fiducia reciproca di stare condividendo uno spazio di norme sociali comune, di una progettare un futuro europeo fatto sì di differenze locali, ma di grande unità culturale, coesione sociale, solidarietà, e non di umiliazioni. Il diktat che “gli accordi devono basarsi sui fatti, non sulla fiducia” è incoerente, i fatti futuri sono probabilità influenzabili dal presente, non categorie assolute dello spirito (pagherà? non pagherà?). Impariamo dall'America che ha scelto di dare fiducia all'Iran e alla sua volontà di diventare un paese diverso (benché Obama per rassicurare l'opinione pubblica usi proprio la retorica opposta di un accordo «sui fatti e non sulla fiducia»).

Le banche europee non falliranno se il debito della Grecia viene ridotto. Fallirà l'Europa se perderemo la fiducia reciproca per disegnare un destino comune che ci liberi dall'ombra di un passato di conflitti e che distingua la nostra storia politica e sociale dal resto dell'intero pianeta – in altre parole, se non ci sentiremo tutti ateniesi.

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