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Due proposte per riequilibrare il debito

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Europa

Due proposte per riequilibrare il debito

Lo si può definire il “grande paradosso italiano”. Quello di un paese che registra in Europa la migliore performance di bilancio degli ultimi otto anni (si guardi all’avanzo primario) e la peggiore performance economica. Un’occhiata alle serie storiche ci può aiutare. Tra il 1861 e il 2013 – scrive Giuseppe Maria Pignataro, nel suo libro Cambio di strategia, la scelta necessaria per salvare il nostro Paese, pubblicato dalle edizioni del Sole24Ore – si contano 29 episodi di riduzione del Pil reale.

Nove coincidono con le guerre mondiali, altre dodici risalgono a prima dell’ultimo conflitto e solo due si collocano tra il 1945 e il 2007. I restanti quattro anni di flessione sono quelli della crisi attuale. «Con l’eccezione dei periodi di guerra – segnala il Cer – la riduzione di prodotto del 2009 (-5,5%) è la terza per intensità, più lieve di quella del 1867 (-7,8%) e sostanzialmente in linea con quella del 1919 (-5,7 per cento». Il grande sforzo di consolidamento fiscale messo in atto per far fronte alla crisi ha evitato il collasso, ma non ha creato le condizioni per una ripresa stabile e duratura della nostra economia. Debolezze strutturali, alta e persistente vulnerabilità agli shock esterni per effetto di quello che gli inglesi definiscono “l’elefante nella stanza”, quel macigno insormontabile di un debito pubblico ora al 133% del Pil che assorbe risorse per 70-80 miliardi l’anno, pari al doppio di quanto costa il servizio del debito a Germania, Francia, Regno Unito e Francia.

Manovre restrittive che producono recessione, con un rischio di avvitamento da cui occorre uscire in fretta. La distanza tra debito e prodotto – scrive Pignataro – che nel 2008 era pari a 38 miliardi ha raggiunto nel 2014 i 518 miliardi, «con una dinamica negativa che non ha ancora interrotto la sua corsa e con scarsissime possibilità che riesca a fermarsi nel prossimo futuro senza un cambiamento di strategia». In sostanza, è illusorio immaginare che attraverso consistenti avanzi primari si possa abbattere in modo significativo il debito pubblico, se la “virtuosità contabile” non è accompagnata da un piano organico di sviluppo economico. Siamo finiti in sostanza in un vicolo cieco, da cui non si esce se non si aggredisce di petto la questione numero: lo stock di debito accumulato finora. Come? Pignataro, in linea con quanto sostenuto nel 2012 nel suo Riequilibrio e rilancio con la proposta di una “tassa di equilibrio”, lancia due ipotesi. L’ipotesi A prevede la riduzione graduale dello stock di debito per 500 miliardi, attraverso contributi privati straordinari denominati “contributi di riequilibrio”. Si tratta di un valore sufficiente a ricondurre il debito attorno al 100% del Pil. Pronta l’obiezione: è una patrimoniale più o meno mascherata? Pignataro spiega che il criterio guida è che l’intervento fiscale di riduzione del debito «non deve avvenire sotto forma di una patrimoniale secca di natura espropriativa, ma con un contributo commisurato alle possibilità reddituali e patrimoniali di ogni soggetto coinvolto, a fronte del quale deve sussistere un preciso impegno di restituzione». In poche parole un «credito pienamente esigibile».

L’ipotesi B prevede la mobilitazione di risorse private da destinare al rilancio dell’economia per 80 miliardi di euro, da realizzare anche in questo caso con il ricorso a contributi privati straordinari denominati “contributi per il rilancio”. In entrambe le ipotesi, le risorse aggiuntive disponibili saranno pari a 76 miliardi l’anno per quattro anni. Somma che dovrà affluire in un fondo denominato «Fondo per il rilancio economico e lo sviluppo dell’Italia». Nell’ipotesi A il fondo istituito presso il Mef servirà alla redenzione del debito, che avrà anche la responsabilità dei rimborsi. Nelle otto linee di azione proposte nel libro, destinate al recupero fiscale per il rilancio dell’economia compare tra le altre il miglioramento della voluntary disclosure, un condono tombale sia per l’evasione che per l’elusione, nuove e più incisive forme di lotta all’evasione fiscale, l’”ottimizzazione” della spesa pubblica. Infine, le 24 linee di azione proposte per l’impiego delle risorse, tra cui spicca la riforma della PA e della giustizia civile, accanto all’incremento della produttività del lavoro, al rilancio del credito bancario e degli investimenti pubblici.