Commenti

Se meno sovranità significa più fiducia

  • Abbonati
  • Accedi
Scenari

Se meno sovranità significa più fiducia

Senza avanzare verso un sistema politico che rafforzi la fiducia, l’euro-area si condanna a un’epoca di bassa crescita e di insostenibili divergenze. Proprio la crisi greca, tuttora aperta, dimostra che allontanarsi dai progetti di integrazione europea crea un clima di incertezza tale da distruggere occupazione e investimenti.

L’Italia è certamente un Paese che ha bisogno di fiducia nel proprio futuro. Tuttavia le recenti e distinte proposte di Wolfgang Schäuble e di François Hollande, sulla necessità di un governo economico europeo e di un parlamento dell’euro-area che lo controlli, non hanno raccolto il consueto entusiasmo da parte italiana. Alla temporanea chiusura della crisi di Atene, l’Italia ha reagito piuttosto con l’annuncio di un allentamento fiscale unilaterale, e ora a Roma si vede aleggiare soprattutto l'ombra minacciosa di un “Finanzminister” europeo che sorvegli dappresso le scelte nazionali.

Infatti, se un governo economico dell’euro-area esistesse già, forse il presidente Renzi non avrebbe potuto annunciare di colpo agli italiani un piano di riduzione delle tasse e l’abolizione dell’imposta sulla prima casa. Ma sarebbe stato un male? Ne avrebbe dovuto discutere prima con i suoi colleghi europei. Qualcuno di loro avrebbe chiesto chiarimenti sulle coperture; oppure avrebbe sottolineato l’opportunità di realizzare insieme la riforma della pubblica amministrazione; altri magari avrebbero chiesto lumi sul carattere di equità della manovra. Non si sarebbe trattato di sottoporre le scelte nazionali a un diritto di veto - nel consiglio della Bce per esempio si discute e poi quasi sempre si decide per consenso - ma il criterio cardinale sarebbe stata la sostenibilità delle scelte, l’opposto dell’opportunismo elettoralistico. I leader socialdemocratici avrebbero espresso osservazioni diverse dai capi di governo conservatori, ma senza interessi propagandistici. Uscita dal confronto europeo, la credibilità del provvedimento - e della politica in sé - sarebbe stata molto rafforzata anche agli occhi dei cittadini italiani. Perfino l’effetto dell’annuncio sarebbe stato più forte.

Se poi l’ipotetico governo economico dell’euro-area potesse utilizzare risorse proprie, un Paese in particolare difficoltà, come la Grecia, fin dal 2010 avrebbe potuto essere aiutato con risorse comuni e governato con scelte condivise, anziché imposte e inapplicate. Non si sarebbe arrivati a gettare nel pozzo greco più del doppio del Pil, senza riuscire nemmeno ad allontanare il Paese dal fallimento.

Si capisce certo il desiderio di chi governa un Paese di tutelare il proprio potere dietro al paravento della sovranità nazionale. Ma allora permettete un altro esempio: le 17 ore di vertice tra i capi di governo del 12 e 13 luglio, in cui si decidevano le sorti greche, sono state suddivise in sette ore di riunione plenaria e dieci ore in gruppi ristretti a cui partecipavano solamente Merkel, Hollande e Tsipras (oltre a Tusk e Tsakalotos). Durante le riunioni ristrette, gli altri capi di governo aspettavano le decisioni o riposavano sognando i loro sogni di sovranità.

Se la proposta di Schäuble suscita diffidenza perché viene da Berlino, allora la radicale contrarietà ad essa (di quattro) dei cinque saggi dell’economia tedesca potrebbe rimettere la proposta del ministro in una luce più equilibrata. A confronto, la pochezza intellettuale del rapporto dei saggi è tale da far pensare che anche la Germania abbia urgente bisogno di riaprire porte e finestre per non ritrovarsi nella vecchia claustrofobia del consenso nazionale. Se Schäuble riesce a tenere ancora aperta la porta, conviene non chiuderla. Pier Carlo Padoan lo ha capito facendo eco al progetto di unione politica.

Un ministro finanziario europeo sarebbe responsabile nei confronti di un parlamento dell’eurozona, con potere di sorveglianza sui bilanci, ma anche con la capacità di mobilitare risorse ottenute attraverso una quota delle tasse nazionali, secondo un progetto anticipato da queste colonne due mesi fa. Potrebbe emettere bond per finanziare un sistema europeo di assicurazione contro la disoccupazione, il primo strumento di politica economica anti-ciclico in grado di limitare le divergenze delle economie prima che diventino strutturali, rendano cronica la depressione economica e alimentino il rifiuto dei cittadini per l’Europa e per la società aperta. Un governo dell’euro potrebbe avere inoltre come obiettivo quello di ridurre il debito dell’area al 60% del Pil, anziché quello di ogni Paese, rendendo meno recessivo il rientro dei Paesi più indebitati e mantenendo la necessaria offerta di titoli a basso rischio su cui si basano i sistemi bancari e previdenziali.

Molti identificano la crisi europea come una crisi di fiducia. In questo senso, la crisi greca è esemplare nella sua dinamica circolare. La diffidenza nei confronti dei governi ateniesi - responsabili di aver falsificato i conti pubblici e di non aver realizzato le riforme promesse - ha giustificato l’imposizione di obblighi e controlli sempre più severi e stringenti; ma impegni tanto onerosi hanno creato tra i greci sconforto per il difficile futuro della loro società e per le declinanti prospettive di benessere individuale. La conseguenza è stata un avvitamento economico privo di precedenti, tale da alimentare ulteriori ragioni di sfiducia reciproca. Se ne vogliamo uscire dobbiamo costruire istituzioni comuni che garantiscano quella fiducia che tra i governi e le opinioni pubbliche è andata deteriorandosi.
Agli italiani spetta esserne i primi sostenitori e dimostrarlo con i fatti.

© Riproduzione riservata