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Eurozona, fiscalità comune e ricadute istituzionali

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INTEGRAZIONE INCOMPLETA

Eurozona, fiscalità comune e ricadute istituzionali

  • –di Antonio Padoa Schioppa

Il trilemma esposto da Guido Tabellini sul Sole 24 Ore del primo agosto descrive perfettamente la situazione in cui versa l’Europa, indicando la via d’uscita. Se si vuole ad un tempo la garanzia della stabilità e la piena integrazione finanziaria dell’Eurozona è indispensabile realizzare anche una fiscalità comune, non sostitutiva ma aggiuntiva e integrativa rispetto alle fiscalità nazionali.

Occorre allora indicare quali siano le ricadute istituzionali, quali le regole di base che consentano la messa in opera di una fiscalità europea, che è cosa ovviamente del tutto distinta dall’armonizzazione delle fiscalità nazionali. La geometria istituzionale va variata il meno possibile, così da riformare i trattati solo in pochi punti essenziali. Essi sono a mio avviso essenzialmente tre, in qualche misura già realizzabili entro la cornice istituzionale del trattato di Lisbona. Dunque, da sùbito.

In primo luogo occorre istituire entro la Commissione (entia non sunt multiplicanda) un’autorità titolare della gestione di un Fisco e di un Tesoro europeo e non semplicemente di un potere di controllo sui bilanci nazionali, che pure è giusto che ci sia, purché entro limiti ben definiti e circoscritti, per intervenire nei confronti degli Stati fuori dai parametri (incluso quello del surplus tedesco…). Ci vogliono un Fisco europeo e un Tesoro europeo dotato di risorse adeguate a coprire i rischi di instabilità e di crisi dell’euro: risorse proprie, derivanti da trasferimenti o da percentuali di quote di imposte nazionali, da eurobonds e da tasse europee come la tassa sulle transazioni finanziarie e una futura tassa sulle emissioni di carbonio.

In secondo luogo, l’indispensabile controllo democratico del Fisco europeo non potrà venire esercitato se non dal Parlamento europeo, con potere di voto, in queste decisioni, riservato ai parlamentari degli Stati dell’Eurozona o della cooperazione rafforzata. Sarebbe del tutto inammissibile un fisco dell’Eurozona privo di una democratica legittimazione politica propria. Altrettanto inammissibile sarebbe conferire ai parlamenti nazionali o a gruppi di parlamentari nazionali una legittimazione relativa alla fiscalità europea, parallela rispetto a quella del Parlamento europeo. La grammatica costituzionale impone corrispondenza tra il livello della fiscalità e il livello della rappresentanza.

In terzo luogo il compito dei tre Consigli (Europeo, dei ministri, dell’Eurogruppo) dovrà essere di impulso e di controllo, non di gestione operativa, che un organo collegiale composto di ministri nazionali è inadatto ed esercitare, come la crisi greca ha dimostrato. Inoltre andrà finalmente abolito in via generale il potere di veto, paralizzante e contraddittorio con ogni nozione di collegialità e di unione.

Risorse comuni, svincolate dai veti nazionali, sono dunque indispensabili per sciogliere il trilemma, garantendo così la stabilità finanziaria dell’Eurozona, scrive giustamente Tabellini. A nostro avviso anche le due altre finalità da lui menzionate sono non soltanto conseguibili adottando questo approccio, ma altrettanto essenziali ed urgenti. Solo risorse comuni consentirebbero la creazione di un sistema europeo di assicurazione contro la disoccupazione. Solo risorse comuni - gestite in modo efficiente e corretto: un capitolo a sé - forniranno, ben al di là del piano Juncker, lo strumento per investimenti in beni pubblici europei non appetibili per i privati, eppure essenziali per lo sviluppo sostenibile non meno che per la crescita e per l’occupazione: infrastrutture fisiche e virtuali, tutela capillare del territorio, energie rinnovabili, valorizzazione dell’immenso patrimonio culturale, ricerche biologiche e mediche innovative; ed altro ancora. Inclusa la difesa comune, che i cittadini europei già vorrebbero in atto.

Solo così l’opinione pubblica europea tornerà a guardare con speranza e con fiducia alla costruzione europea. Prima che sia troppo tardi.

In questa fase cruciale il Governo italiano potrebbe davvero esercitare un ruolo di spicco in seno all’Unione europea.

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