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Giurista insigne, custode della Carta

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Giurista insigne, custode della Carta

  • –di Guido Compagna

Giovanni Conso morto ieri all'età di 93 è anni è stato certamente uno dei più prestigiosi giuristi che hanno onorato la cultura italiana: ma la sua presenza ha anche caratterizzato la storia delle istituzioni e della politica italiana. Ma se la sua figura di studioso e di rappresentante delle istituzioni (ha guidato l'accademia dei Lincei ha avuto incarichi prestigiosi nel mondo universitario è stato membro, indicato dal capo dello Stato Pertini, e vicepresidente del Csm, nonchè giudice costituzionale e presidente della Corte dall'ottobre 90 al febbraio 91) è fuori discussione, sulla sua attività politica e di governo (due volte ministro della Giustizia) non sono mancati interrogativi e polemiche.

I fatti controversi sono soprattutto due: il primo riguarda il cosiddetto colpo di spugna nei confronti di alcuni reati che avevano caratterizzato la stagione di Tangentopoli. Conso era stato chiamato come ministro della Giustizia nel governo Amato. Si era nel 1993 e in precedenza (durante l'elezione del presidente della Repubblica) che portò Scalfaro al Quirinale il Pds aveva sostenuto proprio Conso (ebbe 253 voti) come proprio candidato nelle prime votazioni. Conso si trovò a dover ritirare il decreto (che fu addirittura chiamato “salva ladri” dinanzi alla durissima reazione della Procura di Milano con Di Pietro in prima linea minacciare l'uscita dalla magistratura. Questo nonostante il presidente del Consiglio Amato avesse definito l'iniziativa di Conso come “soluzione politica necessaria”.

Ma se sul cosiddetto colpo di spugna i pareri possono essere diversi e contrastanti, e, comunque da inquadrare nel clima politico-giudiziario di quei mesi, più perplessità suscita il mancato rinnovo nel marzo del 1943 regime di 41 bis a carico di circa 300 detenuti mafiosi sottoposti al carcere duro. Nè sono particolarmente convincenti le dichiarazioni (appaiono soprattutto un peccato di ingenuità) che lo stesso Conso diede ai magistrati di Palermo, ai quali spiegò di essersi regolato in questo modo per indurre Cosa nostra a smetterla con gli attentati e le stragi.

Una tesi questa che l'ex Guardasigilli aveva confermato ion una più recente intervista a “Repubblica”, nella quale aveva anche aggiunto di non essere mai stato al corrente di una trattativa tra lo Stato e la mafia e di non essere mai stato partecipe di una cosa del genere”. Nello scorso febbraio Conso era stato chiamato a deporre al processo sulla cosiddetta trattativa, ma l'aggravarsi delle sue condizioni di salute non gli avevano consentito di testimoniare.

Se certamente la sua partecipazione alla vita politica del Paese è stata, è, e continuerà ad essere oggetto di controverse valutazioni, sono fuori discussione il suo assoluto disinteresse nel servire lo Stato e le istituzioni e la sua grande cultura giuridica, della quale testimoniano il suo percorso accademico, e le sue opere. A cominciare dagli editoriali, che in tempi difficili scriveva sul quotidiano di Torino.