Commenti

La rotta riformista di Rohani

  • Abbonati
  • Accedi
l’analisi

La rotta riformista di Rohani

Com’è il mondo secondo Teheran? Lo chiederemo anche a Rohani, se e quando verrà in Italia. La scritta “Marg Bar Amerikia”, abbasso gli Usa, non è stata cancellata, resistono i murales dei 600mila martiri della guerra contro Saddam negli anni 80 e il nuovo eroe pubblico è Qassem Soleimani, capo delle brigate speciali Al Qods che combatte i jihadisti in Iraq e in Siria.

Qualcuno ha paragonato l’accordo di Vienna sul nucleare al crollo del Muro di Berlino. Ma è un’esagerazione. Gli iraniani, con una popolazione al 50% sotto i 30 anni e nata dopo la rivoluzione islamica dell’Imam Khomeini del ’79, non sono mai stati davvero segregati dietro a una cortina di ferro e si sono tenuti al passo con il mondo, superando le censure di Internet, le sanzioni e un sistema iper-controllato: il 60% dei laureati sono donne, una percentuale non riscontrabile nella regione.

La svolta di Vienna, tutt’altro che improvvisata, è stata preparata con cura, come testimoniano le elezioni presidenziali del 2013. Per evitare scontri tra fazioni, sono stati allontanati i candidati più controversi e la popolazione, consapevole della posta in gioco, ha votato in massa per il fautore della fine dello scontro con gli Stati Uniti. Il presidente Hassan Rohani ha un rotta da cui non demorde: tiene la barra al centro, evitando le sirene di riformisti e gli appelli alla linea dura degli ultra-conservatori. È un conservatore pragmatico che ha due obiettivi: riportare l’Iran nel consesso internazionale, per farne una potenza economica emergente, e vincere le legislative del prossimo anno. Ha trattato con l’amministrazione Obama convinto che meritava fiducia e che gli Usa non era più interessati a fare la guerra a Teheran ma a contenere, a distanza, le potenze regionali sciite e sunnite. Non una visione angelica della politica ma pura realpolitik.

La realtà è che il sistema della repubblica islamica sciita è il più stabile di una regione disastrata, conta su un apparato di sicurezza e di intelligence duro e oliatissimo _ basti ricordare come ha represso la rivolta popolare dell’Onda verde del 2009 _ e non ha paura dell’estremismo islamico come gli altri Paesi della regione: una rivoluzione islamica è già stata fatta e nessuno vuole ripeterla, neppure chi l’ha sollevata e che oggi è al comando, dalla Guida Suprema Alì Khamenei al presidente Rohani, in un Paese dove nessuno decide per tutti ma si deve mediare continuamente tra gli interessi delle lobby clericali, militari e civili. Anche i Pasdaran, impegnati in battaglia in Iran e in Siria, che appoggiano gli Hezbollah libanesi, hanno la loro fetta importante di potere economico da preservare e sviluppare, così come gli ayatollah che presiedono onnipotenti e ricche Bonyad, le Fondazioni. È con loro che si fa affari in Iran: ministri e potere politico distribuiscono appalti e commesse. Per questo l’apertura dopo le sanzioni, Congresso Usa permettendo, sarà un pò alla “cinese”: congelamento del sistema istituzionale e apertura economica.

© Riproduzione riservata