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Sfida alla burocrazia, da attuare presto e bene

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l’urgenza di cambiare

Sfida alla burocrazia, da attuare presto e bene

Perché la pubblica amministrazione cominci davvero a cambiare, bisognerà almeno aspettare i quasi 20 decreti legislativi previsti dalla riforma. Ma il disegno di legge delega approvato ieri dal Senato è un passo importante nel tentativo di scardinare una burocrazia che è forse il freno principale alle possibilità di rilancio dell’economia italiana.

È probabile che il lavoro più difficile cominci ora. Le resistenze e i colpi di coda di chi ha interesse a non cambiare si eserciteranno adesso che le misure attuative dovranno essere scritte. E tuttavia la determinazione del governo e il buon clima con cui è passata la riforma ieri in Senato inducono a sperare in una rapida approvazione delle norme attuative.

A cominciare dal regolamento, atteso entro 180 giorni, che dovrà dimezzare i tempi per le autorizzazioni degli insediamenti produttivi, dell’avvio di attività imprenditoriali e delle grandi opere. La classifica “Doing Business” ci colloca al 46esimo posto al mondo per i tempi di apertura di un’impresa. Ikea per aprire un negozio a Pisa ha dovuto aspettare nove anni. La francese Decathlon ha atteso oltre sette anni per creare il nuovo quartier generale a Brugherio. Casi limite, certo. Ma non c’è imprenditore italiano che non abbia la sua storia da raccontare sulle resistenze e sulle lungaggini incontrate per investire in un determinato territorio. Se tra sei mesi quei tempi verranno davvero ridotti del 50% sarà un gran bel segnale.

Urgente è anche il decreto legislativo che dovrà semplificare le conferenze dei servizi, gli organismi che riuniscono i soggetti interessati da una determinata opera per dare autorizzazioni e pareri. Oggi le conferenze si sono spesso trasformate in dispensatori di veti e meline. La legge assicura tempi certi e più brevi per i pareri, introducendo anche per questi organismi il principio del silenzio-assenso, oltre al ricorso a procedure telematiche per rendere più spedite le istruttorie, che nel 35% dei casi richiedono più di 10 mesi. Un bel passo avanti, da rendere subito operativo.

Come va reso operativo al più presto il riassetto e la riduzione delle società partecipate, anche perché da qui dipende la possibilità di liberare risorse importanti per la spending review e, dunque, per la riduzione della pressione fiscale.

Immediatamente applicative, invece, sono due norme fondamentali di questa legge. La prima: l’autotutela per i cittadini e le imprese davanti alla protervia burocratica. Si prevede che, scaduti i termini per le autorizzazioni, non solo varrà il principio del silenzio assenso, ma nessuna amministrazione potrà più interferire rimettendo in discussione quanto in precedenza accordato (tranne il caso di veri e propri reati). Ottenuta una “Super Dia” per costruire, per esempio, nessuna asl o ufficio comunale potrà pretendere nuovi adempimenti o verifiche.

La seconda è il silenzio-assenso per le procedure interne alla pubblica amministrazione. Un vero e proprio acceleratore delle riforme. È una norma che può essere fondamentale. Come da anni questo giornale segnala, infatti, il ritardo nell’attuazione delle riforme dipende molto spesso dai cosiddetti “concerti”, cioè dalle intese necessarie tra vari settori della pubblica amministrazione per varare i decreti ministeriali. Veri e propri percorsi di guerra, che dilatano nel tempo l’entrata in vigore delle riforme, molto spesso vanificandole. C’è voluto più di anno, per ricordare uno dei tanti casi, perché il Durc (Documento unico di regolarità contributiva) online acquisisse il via libera del ministero del Lavoro, di quello della Funzione pubblica, dell’Economia e dell’Inps. Da domani, invece, entro 30 giorni ogni amministrazione dovrà dare il suo via libera, altrimenti scatterà il silenzio-assenso.

Tempi inevitabilmente più lunghi riguarderanno il riordino della dirigenza e del pubblico impiego. Positivo lo sforzo di introdurre più responsabilità, valutazione, merito nella carriera dei dirigenti. Bene anche la licenziabilità, attenuata dalla possibilità di essere demansionati, anche se su questo punto resta un irrisolto rischio di rafforzare, e non ridurre, la subordinazione dei dirigenti al potere politico. Un esito che andrebbe contro gli obiettivi che la legge si propone di valorizzazione del merito e della produttività. Con l’esercizio della delega questo sarà un nodo da sciogliere.

Si torna quindi all’importanza, ora, di una definizione efficace e rapida dei decreti attuativi. Ma c’è un altro punto essenziale. Le buone leggi servono, ma la rivoluzione nella pubblica amministrazione diventerà realtà solo se i suoi uomini, dal primo dei dirigenti all’ultimo dei fattorini, saranno parte attiva del processo.

Troppe volte le precedenti riforme si sono infrante contro il Moloch di un corpo burocratico che non era interessato a cambiare. In questo senso la scarsa sintonia tra il “rottamatore” Renzi e importanti settori della dirigenza pubblica alimenta le preoccupazioni per un possibile boicottaggio silenzioso della riforma. Sarebbe un suicidio, proprio per chi lavora nella macchina statale. La pubblica amministrazione, a partire dai suoi dirigenti, deve cambiare non per un astratto furore rottamatore, non perché lo vuole Renzi, ma perché nessun italiano è più disposto a tollerarne i ritardi.

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