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Basta pagelle, pensiamo alla crescita

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Basta pagelle, pensiamo alla crescita

Per quanti anni ancora dovremo discutere se sia meglio fare le riforme o continuare con l’austerità? Così semplificato, quel dibattito non porta da nessuna parte : ci fa perdere tempo prezioso ed alimenta polemiche e divisioni, cioè il contrario di ciò che ci servirebbe. Dovremmo invece ricominciare dai “fondamentali” dell’integrazione economica e sociale, come ci era stata promessa : più benessere, meritato e condiviso. È stata questa l’esperienza che in passato ha caratterizzato l’integrazione europea, quando il consenso sulle cose da fare in comune era infatti maggiore, e non aumentava ogni giorno il numero dei delusi, degli euroscettici, dei pessimisti ad ogni costo.

La crescita l’abbiamo conosciuta grazie ad un mix di regole (rispettate) e politiche (condivise), ben migliore di quanto siamo riusciti a fare negli ultimi dieci anni. Ma siamo ancora in tempo. Dovremmo però anzitutto cambiare la priorità di ciò che ci accomuna : crescita e non solo stabilità. Se questi diventano gli occhiali grazie ai quali guardiamo al dibattito “riforme vs austerità” (in tutta Europa e non solo ad Atene) , diventano più chiari molti passaggi che nel recente dibattito sono andati perduti. Proviamo a ricordarne i punti principali :

1 - Il mercato interno e poi l’ Uem esigono il rispetto di molte regole comuni. E quindi, anzitutto, un principio di legalità – rispettato e da far rispettare – che è all’origine di ogni buona economia di mercato e dei suoi benefici. Riforme che servono a far funzionare l’economia in modo corretto (dal codice civile ai tribunali) non sembrano cose strane, in nessun paese civile. È solo un paradosso dovuto a troppa vis polemica sostenere che se un paese “esce dall’euro”, allora potrebbe permettersi di restare un paese incivile….e trarne beneficio !!

2- Ogni riforma – per quanto utile – presenta tuttavia dei costi, se non altro di aggiustamento : almeno inizialmente, i benefici non vanno a tutti nello stesso modo, e qualcuno ne sopporterà i costi. Dobbiamo quindi sapere che i benefici si cumulano nel tempo, ma occorre “finanziare” gli iniziali costi. Certo non possiamo sostenere che le riforme si “autofinanziano” o addirittura sono il modo con cui l’economia si riprende da una grave recessione. Ci sono in giro posizioni estreme di questo tipo : non aiutano a dare un dibattito sereno e quindi utile.

3 - Tutta la teoria dei benefici dell’integrazione tra paesi sempre-più-specializzati-nelle-proprie-virtù, cioè sempre più diversi e complementari, assume che ciò che ci accomuna sia un metodo più che una identica politica. Detto in altro modo , e per capirci con parole più facili : i greci non devono diventare tedeschi, né lo devono diventare gli italiani. Sarebbe una disgrazia se l’ Europa perdesse ciò che da sempre ne fa l’area più bella e ricca del mondo, cioè la ricchezza della sua diversità.Cose facili a dirsi, ma un po’ meno da realizzare. Soprattutto, se non superiamo presto la recente reciproca sfiducia che ha portato ad assimilare differenze a difetti.

Se queste tre riflessioni vengono presto condivise, è chiaro che il passo successivo non è tanto quello delle pagelle che ciascuno dà agli altri, ma semmai quello degli impegni comuni. L’eurozona è in grado di darsi un obiettivo di crescita del reddito e dell’occupazione per il 2016 ? È in grado di scrivere (tre pagine possono bastare) come si pensa di ottenere ciò ? Possiamo dare per condiviso (perché “imparato”) il principio che anche il controllo dell’indebitamento del settore pubblico è più facilmente ottenibile con la crescita che con altre dosi di recessione ? Si può presto riconoscere che il ritardo in questi anni accumulato negli investimenti (anche nei paesi europei più ricchi !) è - ben più del debito pubblico – la vera palla al piede che impedirà ai nostri figli di migliorare il loro benessere ?

È solo per rispondere a domande come queste che merita ancora discutere di riforme e di consolidamento della finanza pubblica.

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