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La sfida di un sistema più attento alla crescita

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l’analisi

La sfida di un sistema più attento alla crescita

Praticamente sul filo di lana. L’ultimo Consiglio dei ministri prima della pausa estiva ha portato il via libera definitivo del governo a un tassello non di secondo piano nel (lungo) percorso di attuazione della delega fiscale. Continua pagina 5

Così ieri è arrivato il sì definitivo al decreto su crescita e internazionalizzazione delle imprese. Un testo che – al di là di una certa enfasi nel titolo – rappresenta una nuova scommessa con l’obiettivo di creare un contesto di maggiori certezze per tutte le imprese. Tanto per quelle italiane sempre più orientate sui mercati esteri e da tempo inserite nei processi di globalizzazione; quanto per quelle estere, spesso poco propense ad avventurarsi con le loro attività in un paese come il nostro che non brilla per certezza e chiarezza delle regole, per efficienza della burocrazia o per celerità della giustizia.

Il decreto approvato ieri non risolve tutti questi problemi. Ma – questa è la novità – si pone almeno il problema di quale ruolo debba avere il fisco in un mondo che è oggi (in realtà, lo è già da molto tempo…) profondamente diverso da quello che conoscevamo quando la maggior parte delle norme fiscali è stata scritta. E allora: come rendere l’Italia un paese più attrattivo per le imprese nostrane e per quelle estere? Come farlo diventare competitivo sotto il profilo fiscale, ovviamente nel rispetto dei limiti della corretta concorrenza, come interpretata da Ocse e Ue?

Il decreto approvato ieri cerca di dare le prime risposte a queste domande. Vedremo, naturalmente, alla prova dei fatti se le buone intenzioni raccontate nelle 20 pagine di relazione e dettagliate nei 17 articoli di legge centreranno questi obiettivi di dare maggiori certezze alle imprese; ridurre e semplificare gli adempimenti; eliminare alcune distorsioni del nostro ordinamento.

Il decreto si muove su tre direttrici. Innanzi tutto, i nuovi investimenti delle imprese italiane e di quelle estere. Qui si dovrebbe realizzare un importante cambio di prospettiva, visto che per gli investimenti di elevato importo (30 milioni di euro), le imprese potranno avere dal fisco in anticipo una serie di risposte sul regime di tassazione applicabile, sulla presenza di eventuali comportamenti elusivi, sul trattamento di determinate operazioni. Si tratta, se funzionerà, di una svolta radicale. Che ridurrà al minimo, anzi, dovrebbe azzerare, quello che le imprese chiamano il “rischio fiscale”, vale a dire l’incertezza di vedersi trattata in modo diverso una certa operazione, con ripercussioni in termini di maggiori imposte e sanzioni da pagare (quindi con maggiori costi non preventivati), senza dire degli aspetti penali.

Il decreto, inoltre, contiene norme che riguardano le imprese che operano all’estero o con l’estero. Qui, il provvedimento cerca di rimediare ad alcuni eccessi dell’attuale normativa sia di eliminare alcune condizioni di svantaggio che pesano sulle imprese italiane rispetto ai maggiori competitor. La novità più attesa riguarda la deducibilità dei costi black list, dove si ribalta completamente il sistema attuale dell’indeducibilità dei costi per l’acquisto di beni e servizi (salvo alcune condizioni). Altra
novità positiva è rappresentata dalla branch exemption, un sistema che consentirà alle imprese residenti in Italia di non pagare imposte sugli utili prodotti da sue stabili organizzazioni (appunto, le branch) all’estero. Oltre a una finalità di semplificazione, questa norma evita anche trattamenti meno favorevoli per le nostre imprese rispetto a quelle di altri paesi.

Infine, è proprio nella direzione delle semplificazioni che si muovono altre norme del decreto. Si va dall’eliminazione dell’obbligo di interpello per le Cfc a una maggiore flessibilità delle norme sulle perdite su crediti.

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